Una questione di stile. Miles Davis Dio del mese

di Johnny Clash

"Per me la musica e la vita sono una questione di stile."
Miles Davis

Questo mese, circa 25 anni fa, per la precisione il 28 settembre 1991, ci lasciava Miles Dewey Davis III. Se lo ricorderemo qui scrivendo solo poche righe e lasciando parlare la musica, non prendetelo come atto dettato da mera comodità. Il punto, vero, è che i tempi di un blog e della rete crediamo non possano comunque in alcun modo essere adatti a sintetizzare una figura tanto sconfinata, sempre che possano farlo un libro o un film. Miles Davis non è semplicemente uno dei più grandi jazzisti di sempre. Come un capotreno vestito di sgargianti colori ha semplicemente dettato tempi e direzioni verso cui il la locomotiva del jazz dovesse dirigersi: dal cool al rock, passando per l'hard bop ed il jazz elettrico. Insomma, se non andremo oltre con le parole è perchè già rileggere quanto appena scritto fa apparire ogni vocabolo semplicemente inutile.
E allora, citando di nuovo il Dio: "Alla gente piace ascoltare musica e pensare a quello che vuole. Quando suoni come suoniamo noi puoi pensare a quello che ti pare... oppure rilassarti e basta".

Ecco dunque una selezione super-essenziale dalla sua discografia, alcune piccole finestre dalle quali affacciarsi per ammirare il mondo della musica da una prospettiva un po' diversa. La prospettiva di Miles.

Il Conciorto. Live @ Lido "Onda Libera", 19/08/2016

di Maurisio Seimani

In fuga dalle calche vacanziere, tipiche dei litorali italiani nelle settimane centrali d'agosto, decidiamo infine di dirigerci alla ricerca di un po' di pace e, lasciato il Salento, superiamo dunque il confine occidentale della Puglia per andare OLTRE...

E così la troviamo: una lunga ed ampia spiaggia sabbiosa, abbracciata da una vasta macchia verde di pini marittimi ed eucalipti, acque limpide, poca gente, poche strutture: giusto un campeggio old style e tre o quattro piccoli stabilimenti balneari a qualche centinaio di metri. Signori: viva la Basilicata!
Montata la tenda ci concediamo dunque la prima passeggiata sul bagnasciuga, anche alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, ed è così che ci imbattiamo nel Lido "Onda Libera". Scopriamo che si tratta di una proprietà confiscata alle mafie (ex "Squalo Beach") e ritornata alla collettività attraverso la gestione di UISPLibera, un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. Il Lido Onda Libera è così oggi "una piazza sul mare dove svolgere attività che restituiscano dignità ad un luogo mortificato dal potere mafioso" (così si autodefiniscono sulla loro pagina facebook).

Perle rare: Cat Power & Piperita Patty

di Wildcatter

Per vari motivi a cui è meglio non pensare, siamo già nella retta finale del 2016 e, contrariamente ai miei usuali standard, per quest’anno ho assistito ad un solo concerto rilevante (non me ne vogliano i Turin Brakes, unico altro caso in cui mi sono trovato davanti a un palco, se ai fini di questo scritto non li considero). 

Nella bella cornice di Villa Arconati, poco fuori Milano, una sera di luglio ho ascoltato la mia amata Cat Power esibirsi, accompagnata semplicemente da una chitarra, evidentemente a lei fedele da molti anni, e da un pianoforte. 
Non saprei dirvi quanto sia stato bello “tecnicamente” questo concerto, caratterizzato dai sinceri e ripetuti momenti in cui la cantante faceva trasparire tutte le sue insicurezze, aggrappandosi di volta in volta, una piccola incespicatura dopo l’altra, alla sua straordinaria voce. Dopo un’estate passata a lungo al volante, con le casse dello stereo della macchina che facevano uscire quasi sempre le note di alcune e, come cercherò di spiegare, assai ben selezionate canzoni di Cat Power, posso però cercare di farvi capire cosa mi ha lasciato nel cuore quell’esperienza, cosa l’ha resa del tutto speciale. Si tratta di un processo sperimentato già in altre rare e speciali occasioni e che ritengo rappresenti una prova di quanta magia sappia sprigionare la musica ascoltata dal vivo, capace come è di legarsi dispettosamente e inafferrabilmente alle sensazioni di un periodo particolare della vita. 

Giorgio Bassani - Il Giardino dei Finzi-Contini (1962)

di Fragoladibosco 

...nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare... 

Della serie "i grandi classici della letteratura italiana". Poche parole, pochi cazzi, il capolavoro di Bassani mi ha sequestrato per tre-quattro giorni dalla mia vita reale. Una splendida detenzione, una prigione dorata che mi ha parecchio intristito dover abbandonare. Racchiuso nel gigantesco giardino della villa padronale della famiglia ebrea-ferrarese dei Finzi-Contini, ho seguito passo passo l'evoluzione dell'attrazione sessuale fra il mai nominato protagonista e Micol Finzi-Contini ai tempi delle famigerate "leggi razziali" nel biennio '38/'39 alla vigilia dell'invasione nazista in Polonia. 

E' una piccola storia, comune a chissà quanti, ricostruita sui ricordi dell'autore, un microcosmo della provincia italiana che va a scontrarsi frontalmente con quello che stava accadendo in Europa. Un'oasi di pace dove le vicende di pochi ragazzi (i lunghi pomeriggi passati al campo da tennis, gli studi universitari a Venezia e a Bologna, le chiaccherate a ruota libera sulla politica, la letteratura, la poesia e, direi, l'arte in generale) si legano all'emozioni e alle frustrazioni di una comunissima storia d'amore dove uno viene dolcemente respinto dall'altra. Le solite donne, quelle che fanno soffrire, quelle a cui devi "rubare" un bacio per poter calmare il testosterone impazzito, quelle che ti vengono a dire "no, non possiamo rompere la nostra bellissima amicizia, il nostro rapporto non potrà avere mai un futuro, et cetera et cetera...". Ma-vaffanculo-va, ben sapendo, però, che dei sentimenti altrui nessuno può disporre. 

REC: Recensioni Estive Canine

di RSK

In attesa che Seimani si riprenda dall'herpes epizootica che l'ha costretto a ritirarsi da tutte le scene e che anche quest'ennesima estate della nostra vita passi, vi proponiamo altri suggerimenti estivi per non farvi dimenticare che il tempo, senza la musica per decorarlo, sarebbe solo una sequela di scadenze produttive e di date in cui pagare le bollette, almeno così diceva il buon Frank Zappa.

ELIZABETH COOK: Exodus of Venus

L'amore per la musica country e soprattutto l'universo mondo che vi gravita attorno non è certo una novità per il sottoscritto. Ultimamente però, per motivi che sfuggono completamente alla mia comprensione, mi ritrovo ad ascoltarla sempre più spesso anche nelle sue varianti più discrete o meglio tendenti al pop (senza offesa). La parola d'ordine di questo disco è Nashville. Nashville non è solo ed evidentemente una cartolina o meglio un biglietto da visita eccelso nel mondo della musica ma anche un simbolo dell'industria musicale USA per eccellenza. Intorno a questo luogo mitologico muovono i fondamentali passi verso la gloria, centinaia di artisti, tra cui anche Elizabeth Cook, personaggio discretamente noto oltreoceano che pubblica qui il sesto album. In bilico tra l'easy listening e un rock chitarristico che non stride mai con la tipica voce country dell'artista. Al contrario stridono i pochi ma inevitabili passaggi souleggianti che interrompono un fluire convincente di un disco per pochi ma non per tutti. Sicuramente estivo. Astenersi perditempo, questo è country.


Ten Summer After: Dinosaur Jr, Gov't Mule, Neko Case, Laura Veirs, k.d. Lang

di RSK 

GIVE A GLIMPS OF WHAT YER NOT - Dinosaur Jr.

Il fottuto rock n' roll è morto. Viva il fottuto rock n' roll. E così in piena estate, in pieno trip da megaipersuperstra festival, quando i critici sono impegnati a prodigarsi in piroette improbabili per essere contemporaneamente in cento posti diversi e criticare a tutto spiano la fallimentare performance del vecchietto di turno, degli ex-sballoni di una volta o dei nuovi divetti del cazzo che dureranno due minuti e un quarto, i Dinosaur Jr. sfornano un disco nuovo. Così, giusto per non gradire, fuori stagione. Loro che fuori stagione lo sono sempre stati anche quando era il loro tempo, quello giusto; loro che il rock n' roll l'hanno sempre preso un po' in giro reinventando obliquamente dei canoni classicissimi sulla scia del Cavallo Pazzo e facendo di una passione un lavoro vero! Come solo nel mondo stelle e strisce è possibile. Loro che l'ultimo l'avevano pubblicato quattro anni fa e in mezzo soprattutto progetti solisti con un ottima prova di J.Mascis nel 2013 (recensione qui!). Loro che si erano estinti ancor prima di cominciare affibbiandosi un nome così. Loro che "chi gliel'ha fatto fare" ma in fondo loro, sempre loro, che "viva l'indie rock e i Pixies i Pavement e le Breeders" e tutta quell'ondata alternativa a cavallo tra gli '80 e i '90, miracolosa, irripetibile.
Loro perché no? Se il disco è bello! Ma se invece è brutto? Perché?
Secondo voi per i Dinosaur Jr. è più facile fare un bel disco o un disco brutto?
Ascoltatelo: i riff sono quelli giusti e sono parecchi; la voce di J.Mascis è sempre la stessa, per fortuna, così perfetta nella sua imperfezione lo-fi. Le canzoni pigliano immediatamente e fanno saltare scompostamente, ma senza lasciare quel gusto di retrò, segno che il genere è in salute e non è né vecchio né invecchiato. Un disco vitale, vivo, sghembo, parecchio accelerato. Ma perché dovrebbero essere Mascis e Barlow a inventarsi qualcos'altro di nuovo? Che cosa volete da loro? Che cosa volete da un "critico musicale" in pieno agosto?
Allora statevene buoni e tranquilli, se ci riuscite muovendovi al ritmo dei Dinosauri, alzate il volume e via. Non ve ne pentirete!


Musica e parole: Il Potere del Cane

Di TheDrillerKiller
Vivos los llevaron 
Vivos los queremos 

I muri parlano, ad Ayotzinapa così come sulle strade del Messico, i muri parlano e raccontano la storia di morti, sparizioni, rapimenti e omicidi. Parlano di violenza, parlano di un paese sprofondato nella violenza, un paese in guerra. Un paese che viaggia dai primi anni del secolo ad un ritmo di 10.000 omicidi all'anno con un picco dal 2007 in poi che ha portato la cifra quasi a triplicarsi arrivando negli ultimi sette anni alla quota di 85.000. Omicidi di studenti, assassini di giornalisti, di migranti, di donne, di bambini, sparizioni di rappresentanti della società civile e soprattutto omicidi di Stato, ma non era una guerra al narcotraffico?
Come quelli di Ayotzinapa dove nel 2014, 43 studenti di un istituto magistrale in viaggio per Città del Messico vengono intercettati a Iguala nello Stato di Guerrero dalla polizia e sequestrati dopo una cruenta sparatoria che lascia diversi cadaveri tra cui un paio di malcapitati e un giovane torturato a cui viene scuoiata la pelle del viso e cavati gli occhi. Da quel momento in poi solo supposizioni e una certezza, anzi due. I 43 desaparecidos non sono più tornati a casa e il sindaco e la moglie di Iguala vengono arrestati e incriminati il mese successivo. 
Un fatto incredibile e simbolico, reale e terribile che racconta di come le istituzioni siano completamente colluse e complici della violenza cieca del narcotraffico tanto da chiedergli favori di ordine pubblico come far sparire 43 studenti che chiedevano solo un mondo più giusto; racconta di come i cartelli della droga siano prepotentemente radicati negli ingranaggi delle istituzioni del grande paese nord americano. 

The Sonora Pine - II (1997)

di TommyThecaT

Quei 40 chilometri che dividono Salò da Riva sono uno dei migliori scorci che la provincia bresciana (e non solo) possa regalare a un viaggiatore attento e curioso. Dietro a ogni curva, fra una galleria e l'altra, al di là delle ville storiche, si nascondono mille cartoline colorate dal blu notte del lago profondo, dal verdone intenso del Parco dell'Alto Garda, dalle macchie violacee delle bouganville tropicali, dal verde argentato degli oliveti.

Tutto cambia in un attimo, è un percorso lento e imprevedibile come le ballate sgraziate dei The Sonora Pine, ennesimo gruppo capolavoro nato dall'incredibile esplosione musicale di Louisville - Kentucky dei primi anni novanta. Gli ex Rodan Tara Jane O'Neil al basso (mirabile anche la sua carriera solista) e Kevin Coultas alla batteria sono accompagnati dal violino minimalista di Samara Lubelski.

La loro è una musica di gran classe, classico post-rock anni '90 narcotizzante a bassissima fedeltà. Nei sette pezzi i suoni e i silenzi si alternano e si compensano a vicenda, il violino regala passaggi senza capo nè coda, le lente proposizioni si avvolgono su loro stesse, sono malinconiche girovagazioni senza alcuna metà, schizzi musicali appena abbozzati.

II del 1997 è un album perfetto da ascoltare nei momenti di vuoto, magari cullati dal dondolio di un'amaca o dal rollio continuo di piccola imbarcazione. E'un lavoro che lascia pochissime via di fuga, sono rari gli scatti che vi daranno la forza di alzarvi per stappare l'ennesima birra o recuperare qualcosa da fumare.

Radiohead - A Moon Shaped Pool (2016)

Se non siete più disposti ad ascoltare la musica, diteci almeno perché. Perché quello che prima aveva un senso improvvisamente smette di averlo e semplicemente cessa di esistere. Cosa succede realmente? Le molecole si dissolvono, si polverizzano e tutto ciò che fino a poco prima aveva un senso, quasi assoluto, non ne ha più? Non capisco. Io stesso sono parte di questo gioco, al massacro. Io stesso, mosso dalle migliori intenzioni, ho smesso di farmi le domande giuste e ho cominciato a dimenticare, lasciare alle spalle quello che prima era il mio tutto, il mio universo. Adesso non c'è più e non capisco perché. Definitivamente, è questo il nuovo medioevo, l'epoca dell'incomprensione assoluta del megafono che distorce tutto, ogni significato, ogni logica. I tasselli che fino a poco fa erano al posto giusto, sembravano al posto giusto, sono scoppiati, esplosi, dissolti nel nulla o meglio in qualcosa che sembra il nulla.
Ecco perché ci vorrebbe più tempo per capire, per giudicare, per comprendere. Ma invece nessuno è disposto ormai ad aspettare nemmeno un secondo. Ecco perché ci arrendiamo, mi arrendo. Mi rifugio nella caverna? No ripiego, scappo, vengo relegato nella caverna. Non posso uscirne, in alcun modo. La violenza, l'ignoranza, la fallacia, l'ignavia mi mantengono isolati alla ricerca della sopravvivenza. Il fuoco mi scalda, il ricordo mi mantiene in vita...almeno...fino...al crepuscolo.

di RSK

E così è accaduto l'inevitabile. I Radiohead non sono più, è ufficiale, la più grande e importante rock band del mondo. Semplicemente hanno smesso di esserlo. Un po' se la sono cercata, un po' è successo ciò che era inevitabile. Poco importa stabilire se è la musica che va stretta ai Radiohead se è questo mondo che non se li merita o se semplicemente hanno smesso di esserlo perché era naturale, era giusto così. Sono lontani i tempi delle rivoluzioni musicali, delle sperimentazioni intergalattiche, dei miracoli inattesi. Sono lontani i tempi dei capolavori popular che mettono d'accordo tutti (Ok Computer (1997) quasi 20 anni fa). Sono lontani i tempi dei capolavori assoluti (Kid A - Amnesiac dal 1999 al 2001). I Radiohead hanno segnato e si sono legati ad un epoca, travalicandola andando oltre, dimostrando che accontentarsi non è mai la strada giusta. Palesando un gusto e una sete unici per l'inesplorato, ciò che non si conosce. Nel 2016 essere e rappresentare tutto questo non è facile, per niente. Ecco perché un disco, un qualsiasi disco di questa grandissima band dell'Oxfordshire, oggi come oggi può, d'acchito, suonare come stantio, vecchio, perfino noioso. Sicuramente fuori moda. Ecco perché ci è voluto, giustamente e rispettosamente del tempo, prima di poter, a mente lucida o per niente lucida esprimere due o tre giudizi sul loro nono album: A Moon Shaped Pool.

Culture - Two Sevens Clash (1977)

di Sir Old John Pajama

Una città quasi deserta. Scuole chiuse, serrande abbassate, pochissime persone per le strade, uffici semi vuoti. Così si presentò Kingston la mattina del 7 Luglio 1977. Un attacco aereo? La solita esplosione di violenza urbana? Un'epidemia? Una calamità? No, semplicemente colpa di un'antica profezia e di un singolo che sul finire dell'anno precedente aveva goduto d'una certa popolarità.

In principio fu la profezia appunto: il giorno 7/7/77, quando cioè i due 7 del settimo giorno e del settimo mese dell'anno si sarebbero incontrati con il doppio 7 del 1977, il mondo avrebbe conosciuto il caos, l'inizio dell'apocalisse e l'avvento di una nuova era. A proferire queste parole era stato il visionario sindacalista e predicatore Marcus Garvey, personaggio cardine del rastafarianesimo ed in generale della storia giamaicana (e non solo), del quale potete approfondire la vicenda tornando al nostro vecchio post Reggae Tales: Marcus Garvey - Fuoco al fuoco (qui ci limitiamo a invece a ribadire che senza le sue prediche, ed il successivo svilupparsi del garveysmo negli anni 20, probabilmente oggi la cultura rasta non esisterebbe, o comunque non si esplicherebbe come oggi la conosciamo).

Facciamo però un passo indietro. Kingston, anno 1975. Joseph Hill aveva 27 anni e si trovava alla guida di un bus. Cresciuto in una famiglia cristiana, aveva abbracciato il rastafarianesimo qualche anno prima e fu proprio ripensando alla profezia citata che melodia e parole cominciarono a entrargli nella testa quasi senza che se ne accorgesse..."Wat a liiv an bambaie...When the two sevens clash...Wat a liiv an bambaie ...When the two sevens clash..."

Marracash & Guè Pequeno - Santeria (2016)

di Maurisio Seimani

Quella fra Guè Pequeno e Marracash era una collaborazione che nel mondo del rap s'attendeva ormai da anni. Non che i loro percorsi artistici non si fossero già incrociati diverse volte, ma è dovuto passare più d'un decennio, perchè l'intesa sfociasse in un vero e proprio album. Santeria, questo il titolo dell'opera, arriva infine nel momento migliore, non solo perchè Guè e Marra giungono ad esso dopo aver prodotto i lavori più maturi di tutta la loro carriera, rispettivamente gli LP Vero e Status, ma anche per il solido ruolo di riferimento e capistipite che ormai tutto il mondo dell'hip-hop nostrano incontestabilmente gli riconosce. Forte era anche il rischio che questo potesse rivelarsi a onor del vero una lama a doppio taglio, ma i due rappers sono riusciti a sfruttare un siffatto contesto con sobrietà ed intelligenza, buttandosi nel disco con nonchalance ed umiltà, qualità scaturenti proprio dalla mancata necessità di dover dimostrare per forza qualcosa a qualcuno o di dover controvoglia accettare (o lanciare) una qualche imprecisata sfida alla concorrenza

MusicalZOO 2016, che la #mutamorphosis abbia inizio!

Ne hanno parlato prestigiose riviste nazionali, ne parla la Lonely Planet Italia, eppure noi ne abbiamo discusso ieri con la portinaia e non ne sapeva nulla. E quindi abbiamo deciso che dovevamo intervenire.

Apre oggi le gabbie il Musical Zoo Festival giunto ormai alla sua VIII edizione (questo il sito ufficiale: www.musicalzoo.it). Si apre con Ninos Du Brasil, un progetto semi-avvolto nel mistero, di cui però è già leggendario l’impatto live (o almeno così dicono), giovedì 21 due nomi di spicco come Gang Of Four Official e Moon Duo (ma fate un salto alla cannoniera anche per gli Ottone Pesante e fatevi stupire). Robbe super-etnico contaminate nella sera del 22, dark e cupismo il 23, ma anche l'RNB incalzante della Universal Sex Arena, infine il gran finale con tanto RAGGAE e l’hip-hop nostrano di Rehab + Mancamelanina Records (non sono stranieri, sono solo straneri). E poi tante altre cose, anche da sbafare e questo è davvero molto importante.

Poi: il primo giorno si entra aggratis e si entra aggratis anche tutti gli altri giorni fino alle ore 20 (se poi però uscite non è che potete fare dentro e fuori e fuori e dentro come Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere se no pagate “Un fiorino!”, che poi è un deca, perché con un deca non si potrà andare via ma si puà andare al Musica Zoo, sputaci sopra). Poi cosa…ci sono i bus navetta da Via San Faustino e da Piazzale Arnaldo e pure i parcheggi in Via San Faustino e Piazzale Arnaldo (d’altro canto non è che puoi mettere i bus navetta a Prevalle ed i parcheggi a Borno, misericordia) E dunque nulla, ci vedremo su. Se invece ci vedete giù è perché stiamo andando su. Se non ci vedete nè su né giù è perchè siamo là. Se non ci vedete nemmeno là…ma che cavolo ne sapete voi di chi siamo noi?

Vi abbaiamo calorosamente, bau!

The Claypool Lennon Delirium - Monolith of Phobos (2016)

di DeMarga

Quelle poche persone che mi conoscono bene su questo blog sanno della mia insana passione musicale (ma non solo) per Les Claypool; un amore assoluto iniziato nel 1991 quando venni introdotto, con la navigazione nei mari di formaggio, al verbo dei Primus. E ad ogni uscita discografica del bassista californiano, nonchè brillante pescatore, vengo investito da uno stravolgimento ormonale senza pari; vado in brodo di giuggiole ed il cervello mi va per così dire in pappa. 
Con questa introduzione mi sembra facile dedurre che non potrò mai e poi mai essere obbiettivo quando vado a raccontare di un nuovo progetto musicale del mio piccolo grande eroe; Les potrebbe anche comporre una scoreggia modulata con il suo baldanzoso basso per la durata di un intero disco: diventerebbe l'album dell'anno. Senza se, senza ma, senza dubbio alcuno. 

King of Convenience...un Dio di passaggio

di Johnny Clash

Saranno tra pochi giorni in "territorio canide" i Kings of Convenience, attesi domenica 17 luglio nella splendida cornice del Vittoriale degli Italiani nell'ambito della rassegna Tener-A-MenteL'occasione torna buona per ricordarci con quanta piacevolezza i loro CD girassero a ripetizione sui nostri lettori nella prima metà degli Anni Zero. Solo allora? Mica tanto: in generale Quiet is the new loud e la sua meravigliosa versione remixata Versus sono fra i dischi che il sottoscritto ha ascoltato più volte da quei tempi fino ad oggi. Tradizione del blog vuole che ogni mese dell'anno abbia qui il suo Dio e quindi...

Arrivavano dalla Norvegia i Kings of Convenience ed il loro nome derivava dal fatto che questi due ragazzi rispondenti ai nomi di Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe per portare in giro la loro musica non avevano bisogno d'altro che di loro stessi e di due chitarre acustiche ben accordate (da qui la "convenience", intesa non solo come "convenienza", ma anche nel suo significato più globale di "comodità"). Il loro primo album commercializzato su scala mondiale, il già citato Quiet is the new loud del 2001, non poggiava infatti su altro, soltanto sulla semplicità con cui morbidi tappeti chitarristici, ora arpeggiati, ora lasciati a pennata aperta, venivano finemente decorati da trame vocali di finissima fattura, che ben raccoglievano l'eredità sixties di formazioni quali Byrds, Beach Boys, i primi Beatles e Simon & Garfunkel. Benchè questi ultimi siano il riferimento più citato quando si parla di Kings of Convenience, in verità la loro musica se ne discosta parecchio, soprattutto per l'approccio compositivo nel quale risulta evidente un piglio più europeo e british, ed un'indole ritmica che a tratti sconfina in generi diversamente esotici quali la bossa-nova o la suite da colonna sonora alla Burt Bacharach. Senz'altro simile è invece il lavoro svolto sulle doppie voci, ma l'appeal del duo norvegese mantiene comunque una sua innegabile originalità, pur evocando ripetutamente spiriti di un mondo perduto nei lontani anni sessanta che appare sempre presente.

Ten Years After: Kasabian, Tricky, Sonic Youth, Joni Mitchell, Buffalo Springfield

di RSK
Io vedo la musica
 come fluida architettura
 Joni Mitchell

KASABIAN: Empire (2006)

Sapete cosa c'è di più british di un disco dei Kasabian? Un altro disco dei Kasabian, almeno nel 21º secolo. Ed è sostanzialmente per questa ragione e non molte altre che si può apprezzare questa seconda folgorante prova di Pizzorno e soci. Un frizzante pop rock britannico scandalosamente fotocopiato dai migliori esponenti della grandiosa ondata britpop anni '90 con aggiunta dell'elettronica più ruffiana possibile, che da vita ad una miscela semplice semplice che riesce però a non risultare quasi mai pacchiana e soprattutto votata all'easy listening fine a se stesso anzi, si fa ampiamente perdonare grazie ad un attitudine rock che rimanda al meglio della cultura musicale made in UK. Soprattutto nella prima parte il disco rende omaggio ai maestri Oasis e Blur senza disdegnare incursioni verso i fratelli maggiori Stone Roses. Aleggiano, manco a dirlo, i fantasmi dei padri assoluti Beatles. Insomma un riassunto quasi enciclopedico frizzante e quasi mai noioso. Che fine ha fatto il pop rock britannico 10 anni dopo? Sicuramente per i Kasabian certi livelli se non sono risultati irripetibili, poco ci manca per Leicester invece, loro terra d'origine il 2016 passerà alla storia.


Primo Levi: Se questo è un Uomo

di Fragola di Bosco

Disagio, tanto disagio.

Non può essere altrimenti. Io, con una mela in una mano, seduto sugli scogli, col Mediterraneo davanti a perdita d'occhio, un nugolo di persone nella vicina spiaggia indaffarati a far nulla e "Se questo è un uomo" nell'altra mano. Io, nel perfetto quadro della mia vita vacanziera, e Primo Levi nel suo inferno, non quello dantesco ma quello novecentesco, quello che nella cultura Occidentale è diventato l'inferno per antonomasia, il lager nazista.
L'opera ci scaraventa con estrema delicatezza nel buio della mente umana. L'autore ci accompagna per mano nel campo di deportazione di Monowitz vicino al complesso di Auschwitz. Primo Levi è un Virgilio discreto, è un handycam meccanica e razionale che scannerizza per i posteri con assoluta precisione tutto ciò che rimane della cosiddetta "condizione umana", è un medico legale impegnato in una cruda dissezione di se stesso e della sua esperienza. L'autore ci racconta il viaggio verso il lager, le "routine" quotidiane del campo di sterminio, l'infermeria, il lavoro, la fame, il freddo, i nazisti, la morte. Nella prosa manca totalmente qualsiasi luce di sentimento dello scrittore, non ce n'è assolutamente bisogno.