Saranno tra pochi giorni in "territorio canide" i Kings of Convenience, attesi domenica 17 luglio nella splendida cornice del Vittoriale degli Italiani nell'ambito della rassegna Tener-A-Mente. L'occasione torna buona per ricordarci con quanta piacevolezza i loro CD girassero a ripetizione sui nostri lettori nella prima metà degli Anni Zero. Solo allora? Mica tanto: in generale Quiet is the new loud e la sua meravigliosa versione remixata Versus sono fra i dischi che il sottoscritto ha ascoltato più volte da quei tempi fino ad oggi. Tradizione del blog vuole che ogni mese dell'anno abbia qui il suo Dio e quindi...
Arrivavano dalla Norvegia i Kings of Convenience ed il loro nome derivava dal fatto che questi due ragazzi rispondenti ai nomi di Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe per portare in giro la loro musica non avevano bisogno d'altro che di loro stessi e di due chitarre acustiche ben accordate (da qui la "convenience", intesa non solo come "convenienza", ma anche nel suo significato più globale di "comodità"). Il loro primo album commercializzato su scala mondiale, il già citato Quiet is the new loud del 2001, non poggiava infatti su altro, soltanto sulla semplicità con cui morbidi tappeti chitarristici, ora arpeggiati, ora lasciati a pennata aperta, venivano finemente decorati da trame vocali di finissima fattura, che ben raccoglievano l'eredità sixties di formazioni quali Byrds, Beach Boys, i primi Beatles e Simon & Garfunkel. Benchè questi ultimi siano il riferimento più citato quando si parla di Kings of Convenience, in verità la loro musica se ne discosta parecchio, soprattutto per l'approccio compositivo nel quale risulta evidente un piglio più europeo e british, ed un'indole ritmica che a tratti sconfina in generi diversamente esotici quali la bossa-nova o la suite da colonna sonora alla Burt Bacharach. Senz'altro simile è invece il lavoro svolto sulle doppie voci, ma l'appeal del duo norvegese mantiene comunque una sua innegabile originalità, pur evocando ripetutamente spiriti di un mondo perduto nei lontani anni sessanta che appare sempre presente.
Per chi non conosca la proposta musicale di questi due ragazzi di Bergen, l'approfondimento non si rivelerà così arduo. Oltre ai già citati Quiet is the new loud e la sua remix version Versus (non intendete quest'ultimo solo come una mera curiosità: i sapienti remix di Royksopp, Four Tet ed altri importanti nomi della scena elettronica anglosassone e scandinava rendono quest'opera forse più bella dell'originale) i nostri hanno prodotto solamente due album: il fortunatissimo Riot on an empty street del 2004, trascinato dalla super-hit Misread, e Declaration of dependence, che seguirà nel 2009, ben cinque anni più tardi. In questi ultimi dischi, che nel complesso ripetono le idee già proposte nei precedenti, il sound dei Kings of Convenience si arricchisce però di arrangiamenti più variegati, in cui compaiono pianoforte, tastiere, fiati ed archi. Purtroppo, mentre il primo arriva quasi ad eguagliare per intensità Quiet is the new loud, il secondo si presenta come una sbiadita e non richiesta riedizione dei loro lavori passati.
Non so, forse qualcuno penserà che il termine "Dio" suoni un po' esagerato per questa band, che vanta peraltro anche un nutrito numero di haters sul web. Può essere, ma se si pensa a quanti dischi sul genere sono stati inutilmente sfornati nell'ambito dell'indie-pop dalla seconda metà degli anni 90 fino ad oggi (qualcuno ha anche parlato di "new acoustic movement" ?!?!??!), allora io credo che non si possa che constatare come solo in rarissimi casi si sia ancora raggiunta la grazia di un disco come Quiet is the new loud. Quest'opera, come del resto il "rosso" ed il "verde" dei Belle & Sebastian usciti solo pochi anni prima, rappresentano ancor oggi capolavori ineguagliati. La sfida resta comunque aperta, per chi ci voglia provare. Bastano una chitarra acustica ed una manciata di buone idee. Ma che siano buone davvero però.
Storcere il naso oggi per i Kings Of Convenience significa essere rintronati...Dio eccome!
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