REC: Steve Gunn, Greys, Kevin Morby, White Lung, PJ.Harvey

di RSK
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare»
 (Jack Kerouac, Sulla Strada)

STEVE GUNN: Eyes on The Lines

La musica di Steve Gunn è senza tempo, non accenna a cedere di un passo alle rughe da molte lune apparse sui volti dei più importanti, storici e sopravvissuti esponenti del genere. La musica di Steve Gunn è da sempre e per sempre giovane sia perché lui è giovane sia perché è immortale. La musica di Steve Gunn è un fantastico e freschissimo mix di psichedelia, country e folk che esplode nella testa e rimanda immediatamente ai bei tempi di Sua Maestà Jerry Garcia e i suoi inimitabili Grateful Dead oppure all'inarrivabile magia del rock hippie di David Crosby e tutti i suoi sodali: da Steve Nash passando per Neil Young fino alla Band di Bob Dylan e per un certo periodo anche quei mattacchioni degli Stones. Insomma che volete di più? Se ci mettete inoltre che l'ex chitarrista di Kurt Vile con la sei corde ci sa fare alla grande e di conseguenza non si limita a scopiazzare ma a rilanciare uno stile glorioso...accorrete numerosi al suo cospetto e quello di Eyes On The Lines.



GREYS: Outer Heaven

Indie rock, post punk, post rock, noise: hanno ancora senso queste classificazioni nella musica di oggi? Sicuramente sono comode per chi scrive per riassumere emozioni e sensazioni che produce nell'ascoltatore un nuovo disco, posto che ormai non ci si inventa più nulla e quindi diventa anche complicato discostarsi dalle generalizzazioni di cui sopra. Ecco allora che quanto detto vale perfettamente per questo ottimo, veramente ottimo, disco dei Greys. Dagli '80 ai primi '00. Dal primo pezzo, Cruelty che ricorda i morbidi intarsi rumoristi dei Sonic Youth più scialli, all'esplosione post punk con tanto di voce gracchiante della seconda No Star che richiama alla mente gli anni d'oro del post revival con Stroke su tutti atterrando su una nirvaniana If It's All The Same To You che da il la alla festa punk. Ed infatti è il piglio più cazzaro e onesto di questa band udite udite, canadese di Toronto, che ce la rende immediatamente più simpatica di quei fighetti con la puzza di rock sotto il naso di New York, gli Strokes ovviamente, che avevate capito! Disco pieno di sorprese e di sballo, smodato dall'inizio alla fine ma senza essere sbrodolone. Se capitano dalla vostre parti non lasciateveli sfuggire.

KEVIN MORBY: Singing Saw
 
Kevin Morby non sembra intenzionato a voler rivoluzionare la musica piuttosto ama scrivere canzoni, partendo da un giro di basso da una chitarra acustica e una voce da songwriter. Mette insieme, con il giusto equilibrio di melodia e fantasia il folk dei paesi suoi con un piglio tex mex (trombe mariachi incluse), e la quieta sobrietà di un suono pulito e acustico, morbido. Un folksinger come ne abbiamo sentiti milioni, una musica che viene da quei posti mitologici e incensati a metà strada tra il profondo sud, di confine, e l'assolato deserto della California. Potremmo stare qui una settimana a fare l'elenco dei centomila nomi che questa musica riesce a richiamare alla memoria ma in fondo non avrebbe  nessun senso. Ringraziamo invece il giovane texano, classe 1988, per farci sentire una volta di più On The Road e aver messo insieme un pugno di belle canzoni che è già tanto.

WHITE LUNG: Paradise

Ok lo ammetto è un po' una fissa mia, ma chissà perché ogni santo disco che venga dal Canada mi sembra sempre che abbia qualcosa in più degli altri e immancabilmente a fine anno mi ritrovo con una lista lunga così di proposte, di ogni tipo, provenienti dal grande e bianco nord. Di una cosa però sono abbastanza sicura quasi tutte queste proposte hanno un comun denominatore: il volume. Il volume di questi dischi inevitabilmente si alza al massimo per permettere una migliore comprensione al distratto ascoltatore. Qualora non ci fossimo chiariti anche questo disco gravita nell'orbita del punk, ma un punk mooolto accattivante, moooolto commerciale, al limite del power pop per intenderci, nel quale a fianco di un ben costruito rumorismo troviamo sempre il piglio melodico tipico del pop da hit. Infatti a voler ben vedere White Lung, quarta prova del trio di Vancouver, potrebbe tranquillamente diventare il classico disco dell'estate del quale si va sempre alla ricerca in questo periodo dell'estate...e così anche quest'anno ci siamo levati il pensiero!


 P.J.HARVEY:The Hope Six Demolition Project

Tanto rumore, per poco. Preceduto dalla nota polemica sul "plagio" nelle liriche, e dall'evento del Recording In Progress, dove si poteva assistere al processo creativo dell'artista direttamente nello studio di registrazione, e quindi da un discreto battage pubblicitario, The Hope Six Demolition Project appare come un progetto riuscito a metà. A metà perché, se da un lato, gli intenti della cara e amata Polly erano quelli di presentare un prodotto che travalicasse i confini della musica, e che attraverso le liriche presentasse la realtà di un mondo in crisi, di un mondo in conflitto, insomma, di un mondo peggiore di quanto potessimo immaginarlo, dall'altro c'era pur sempre attesa per il lato creativo della faccenda. Ebbene The Hope Six lascia a desiderare proprio sul versante musicale. Non si può certo definire come un disco immediato, una delle doti storicamente più apprezzate della cara e amata Polly; né probabilmente rock in senso stretto anche se da questo punto di vista sono ormai anni che l'artista ha abbandonato, anche giustamente e a ragione, i furori di gioventù. Insomma, se Polly voleva dire la sua, e per carità ne ha ben donde, avrebbe dovuto ricordarsi di più di che cosa l'ha resa e continua a renderla una delle "sacerdotesse del rock" più amate. Un disco concettuale per certi versi, e al di là delle polemiche, condivisibile e apprezzabile, ma sinceramente tutt'altro che esaltante.

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