Ten Years After: Doves, Alice In Chains, Cult, Pink Floyd, The Who

di RSK

L'acqua che tocchi de' fiumi 
è l'ultima di quella che andò 
  e la prima di quella che viene. 
Cosí il tempo presente.
Leonardo Da Vinci

DOVES: SOMES CITIES (2005)

Rieccoci con Ten Years After. Cominciamo con una band di tutto rispetto, quella dei fratelli Williams, nata a cavallo tra i due secoli e inseritasi perfettamente nell'ondata alt.rock britannica che tanti successi seppe seminare e raccogliere tra gli '80 e i '90. Nel 2005 reduci da due dischi di grande successo pubblicano il fatidico terzo album: Somes Cities.
In realtà si discosta poco dai precedenti e forse anche per questo è considerato minore agli altri. A distanza di dieci anni però mostra un bel piglio e un sound assolutamente riconducibile al gruppo. In definitiva una manciata di canzoni veramente piacevoli la cui parola d'ordine è il ritmo, la ritmica. Anche la voce calda e potente del tezo Doves, Jimi Goodwin, contribuisce a renderli  un bel ricordo dei primi anni 2000. Somes Cities viene composto in realtà lontano dalla città in campagna nel tentativo di accontentare le enorme aspettative che si erano create intorno alla band. Le critiche dell'epoca denotano una certa amarezza, la tipica di chi aspetta al varco un gruppo per demolirlo, ma a distanza di dieci anni Somes Cities fa solo pensare che neanche molto tempo fa le pretese degli amanti del rock fossero di molto superiori a oggi e i prodotti in circolazione in media qualitativamente più validi del 2015! Buon ascolto!



ALICE IN CHAINS: ALICE IN CHAINS (1995)

Il 5 aprile del 2002, quando trovarono il corpo senza vita di Layne Staley, ho seriamente pensato che questo mondo fosse il peggiore dei mondi possibili. Più o meno una cloaca. Non riuscivo a capire come potesse essere finito così un artista incredibile, un cantante dalla voce impressionante, forse una delle più belle in assoluto della storia del rock con una manciata d'altri che tutti conoscono e che se ne stanno lì a godersi la fama, la vecchiaia e tutto il resto. Perchè? Perchè solo come un cane? Lo stesso cane senza una gamba che sta lì a guardarci con gli occhi della verità come quello ripreso in primo piano sulla copertina dell'ultimo disco degli Alice In Chains. Un cane...come noi, uno di noi.
Nel 1995 uno dei gruppi più influenti e importanti, sia col senno di poi che col senno di prima, della storia del rock anni '90, a questo punto mi rifiuto di continuare a definirlo semplicemente grunge, pubblicano una raccolta di pezzi rock stralunati e incazzosi. Oltre il viale del tramonto, a causa di quella maledetta moda di bruciare tutto e subito, gli Alice "pensanti", cioè Jerry Cantrell (a proposito il cane era il suo), e quelli più di là che di qua, il buon vecchio Layne appunto, mettono insieme un disco memorabile anche se meno apprezzato, chissà perché di Dirt (1992) e ovviamente dell'epocale Unplugged (1996). Ma ascoltati uno dietro l'altro i pezzi di AIC sono semplicemente da paura: dalla monolitica Grind alla poetica e maledetta Shame in You al rock melodico della conclusiva Over Now. Un disco quasi perfetto ricamato dalle strabilianti performance di un artista unico e irripetibile.


CULT - LOVE (1985)

Era il 1985 quando "quel bel pezzo dell'Ubaldo" di Ian Astbury, un semidio metà Jim Morrison e metà Toro Seduto, pubblicava in compagnia dei suoi Cult, il disco di maggior successo della sua carriera nonché uno dei dischi "rock" più importanti dell'anno. Love: questo il fantasioso titolo, fece breccia e rumore laddove nessuno in quel momento si sarebbe ormai aspettato nemmeno un sospiro. Ma come? Jim Morrison si era ormai ritirato sulla famosa isola deserta da tempo, Jimi Hendrix stava esplorando fantastici pianeti fuori dal sistema solare e chissà per quanto tempo ancora mentre i Led Zeppelin si erano tolti dalle scene e  e con loro quel rock che tanti proseliti aveva fatto negli anni '70... 
Nessuno, soprattutto in Inghilterra, in piena new-wave si sarebbe aspettato un disco così e un gruppo così. Grande merito quindi a Ian e soci per aver pubblicato un disco che a distanza di 30 anni risulta epocale e che si distingue soprattutto per questo fantastico pezzo con video annesso. Peace e naturalmente Love!!


PINK FLOYD - WISH YOU WERE HERE (1975)  

I Pink Floyd sono il Dio dell'Anno di questo blog fatto da cani, il migliore in circolazione, detto tra noi. Ecco perché ogni occasione per parlarne è buona e benvenuta. In questo caso ricorre l'anniversario dell'uscita di Wish You Were Here, la data esatta in realtà è 12 settembre 1975. Nono album in studio della band britannica, sesto album nella speciale classifica di Musicanidi, di lui si parla soprattutto, quasi sempre, per i numerosi aneddoti che ne circondano la gestazione e pubblicazione. Dall'apparizione del Pifferaio Magico durante le sedute di registrazioni di Shine On (brano peraltro a lui dedicato), alla fantastica copertina concettuale del colletto bianco che brucia di Storm Thorgerson, per concludere con i primi evidenti segni di megalomania del noto Bassista che nel disco compone tutti i testi. Wish You Were Here fuori dagli orpelli e i ricami è l'ennesimo capolavoro; maltrattato inizialmente dalla critica, forse per essere uscito relativamente a ridosso di Dark Side Of The Moon, (1973), considerato a torto o a ragione semplicemente irripetibile, è in realtà ritenuto dagli stessi membri della band come il miglior disco! Pensa te! 
A parte la famoserrima Shine On You Crazy Diamond (parte I-V) val la pena citare almeno: Welcome to The Machine, Have a Cigar (con l'intervento di Roy Harper), Wish You Were Here e Shine On You Crazy Diamond (parte VI-IX)...caspita ma è tutta la scaletta dell'album!


THE WHO - MY GENERATION (1965)

« The Who quite possibly 
remain the greatest live band ever. »
Eddie Vedder
 
Nel dicembre del 1965 esce in Gran Bretagna uno di quei dischi destinati a cambiare la storia: l'esordio degli Who. Un esordio considerato da molti come una vera e propria rivoluzione ma che i protagonisti stessi definiranno anni dopo come un errore di gioventù. Sia come sia il successo da questa e dall'altra parte dell'oceano è immediato e la leggenda degli Who cominica proprio qui. Pete Townshend e soci ovviamente al completo, cominciano a calcare e distruggere i più importanti palcoscenici del mondo distinguendosi un tantino per irruenza e foga, insomma spaccando pesantemente culi come si conviene a una delle più grandi rock band della storia. Considerati precursori di, praticamente, tutti i generi derivativi del rock anni '60 e tutte le band che li hanno seguiti dai Led Zeppelin fino ai Pearl Jam in questo esordio presentano l'inno per eccellenza: My Generation nel quale tra le altre cose si dice "Spero di morire prima di diventare vecchio", un motto che molti avrebbero preso alla lettera a cominciare dal batterista Keith Moon. La canzone è inoltre nota per il modo particolare con cui viene interpretata da Roger Daltrey. Perché il cantante balbetta? Ecco a voi una spiegazione pescata in rete e riferita dal batterista della band, Keith Moon: «Pete aveva scritto le parole della canzone su un foglio di carta e lo diede a Roger, che non le aveva mai lette prima. Così, mentre le leggeva per la prima volta, balbettò. In studio c'era Kit Lambert, che disse a Roger: "Quando canti continua a balbettare". Così fu, e il risultato lasciò tutti senza fiato. E pensare che tutto accadde solo perché Roger quel giorno aveva il raffreddore». 
R'N'R e fanculo al resto!

2 commenti:

  1. Il post è molto bello e me lo sono letto volentieri (mitico Lane).

    ho letto anche Ipse Dischi : Se fossi tranchant come Keith Richards direi che Keith Richards è un coglione testa di cazzo e non capisce un cazzo da anni, ma non lo sono e quindi non lo dico...

    lo penso e basta...

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  2. Ah ah ah. Ma infatti come si suol dire ambasciator non porta penE. Noi riferiamo quanto detto dal vecchio pirata ma che si sia tutti d'accordo, non è detto. Io personalmente sono più per le pietre rotolanti ma qui ci sono un sacco di canidi che amano gli scarrafoni più di se stessi.

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