Ho sempre pensato che le canzoni più belle di Beth Orton sono davvero …belle. Insomma, belle in modo speciale. Meriterebbero davvero di raggiungere un pubblico più vasto di quello che la cantautrice inglese si è ritagliata in lunghi anni di onorata carriera.
Io l’ho conosciuta negli anni novanta, grazie alle mie avide letture di Jam, mensile di musica di Ezio Guaitamacchi. Central Reservation si era conquistato il titolo di disco del mese e una ben calibrata recensione aveva conquistato la mia attenzione. Il disco dopo pochi ascolti mi aveva conquistato, tanto che per un lungo periodo aveva quasi monopolizzato il lettore cd. D’altronde non potevo che farmi conquistare dalla bellezza, dalla delicatezza e dal mirabile ed ispirato equilibrio che contraddistinguono tutte le canzoni di questo disco.
Gli ultimi dischi non sono certo memorabili, sono onestamente lontani dalle vette raggiunte con le pubblicazioni degli anni 90. Resta il fatto che se c’è una cantante per la quale mi attengo ancora volentieri al mio rituale fuori dal tempo dell’acquisto del CD “a scatola chiusa”, beh questa è proprio Beth. Il preordine su Amazon per il nuovo disco (Kidsticks, di recente uscita, ndr) è stato fatto il giorno stesso in cui sono venuto a conoscenza della sua pubblicazione.
Tengo a Beth Orton in modo particolare. Avevo provato sincera empatia quando avevo letto di suoi seri problemi di salute. Solo grazie a lei la canzone dei Chemical Brothers che ho più ascoltato in vita mia non è Hey boy hey girl, nonostante il travolgente e martellante successo che conseguì quel pezzo. Si tratta infatti di Where do I begin e il suo “can’t even focus on a coffee cup” ha rappresentato qualcosa di importante nel mio immaginario. Ricordo ancora il fastidio che avevo provato all’Alcatraz quando un elevato brusio generato da una moltitudine di fighetti milanesi aveva rovinato il suo set prima del concerto di Beck (erano i tempi di Midnight Vultures). Al concerto dell’epoca del disco Daybreaker, non avendo preso il biglietto in prevendita, mi recai con largo anticipo al Rainbow, piccolo locale di Milano. Temevo che orde di giovani milanesi volessero accaparrarsi i biglietti per quell’evento che nella mia testa era sensazionale e straordinario. Temevo davvero di non riuscire a vedere Beth esibirsi. Sorrido ancora a pensare alle ore passate in attesa che si facesse sera, praticamente da solo su un marciapiede, tenendo in mano due rettangolini arancioni. Erano i biglietti del concerto, presi al botteghino. Avevano lo stesso formato di quelli della Siae che ti davano un tempo al cinema. Riportavano la matricola n. 1 e n.2. Perlomeno nell’attesa feci conoscenza con Beth, arrivata su uno scalcagnato pullman con la sua band per esibirsi davanti a poche decine di persone. Mi autografò il libretto del CD, così come fece quando si esibì da solista alla Salumeria della Musica, sempre a Milano non molto tempo fa.
Central reservation è il disco che ho regalato a più persone, ancora di più rispetto a No Code dei Pearl Jam. Quando navigo su Amazon.uk mi capita spesso di controllare quanto costa. Se è sotto le 5 sterline non resisto e ne prendo una copia. Quando arriva il pacco del corriere, apro la confezione, controllo che ci sia dentro il disco giusto. Se so già a chi regalarlo capita che ci metta sopra un post-it con un piccolo pensiero. Di norma il messaggio si risolve in un maldestro tentativo di far percepire l’importanza che ha per me quel disco. Poi richiudo la confezione e lascio il pacchetto sulla scrivania. Tiro una riga sopra il mio recapito e metto il nome del destinatario. Se sono al telefono capita di scarabocchiare sulla confezione e di cancellare completamente il mio indirizzo. Se non so chi sarà il fortunato (?) destinatario del regalo il CD finisce insieme agli altri che costituiscono la mia piccola scorta di cd ancora incellophanati, proprio perché destinati a essere regalati. Sono nascosti dietro ai DVD che si trovano nella mensola più bassa del mobiletto dell’IKEA a sinistra del mio stereo.
“Io sono quello che ho donato” si legge entrando al Vittoriale. Ecco io ho elaborato e consolidato nel tempo una mia personalissima filosofia al riguardo. Una filosofia a tema musicale. Se posso regalo quindi canzoni, meglio se incise su obsoleti supporti fisici. L’unico intento è quello di trasferire qualcosa che … mi ha trasferito qualcosa. Tu chiamale se vuoi … emozioni.
Chissà, forse in futuro regalerò anche l'ultimo disco di Beth. Nel mentre sono sicuro che presto troverò in un giro di chitarra o nelle pieghe di un testo un messaggio solo per me dalla mia amica Beth, un supporto sonoro che, in un periodo così così, accoglierò con grande piacere e un velo di malinconia.
Se non sapete chi sia Beth Orton, regalatevi intanto l’ascolto di qualche canzone di Central reservation e non ve ne pentirete. Chi volesse il CD può passare da me. Una copia di questo disco, pronta per essere regalata, è lì, nel posto segreto che ormai vi ho svelato.
Complimenti a mr. The Wildcatter!Passerò per conoscere la Dea del mese, accontentandomi di un prestito.
RispondiEliminaAvv. Martinazzi