Afterhours: Folfiri o Folfox (2016)

di RSK 
E tu sei da sempre un ribelle ma
morirai per un protocollo sai
Folfiri o Folfox


Folfiri e Folfox: 1ª settimana. Una settimana di ascolti, di repeat, di loop, di ossessione, la solita fantastica ossessione che mi accompagna dal 1997 quando con l'uscita dell'epocale Hai Paura del Buio anch'io mi accorsi dell'esistenza degli Afterhours, fino ad allora solo distrattamente bazzicati con il precedente, era il 1995, Germi. Una settimana sarà anche poco ma almeno io il disco lo sto ascoltando.

Folfiri e Folfox come sempre, come tutte le volte entra in sordina nelle mie orecchie e nella mia vita, da una porta laterale, in mezzo alla solita distrazione generale e confusione parziale. Comincia a entrare nella testa attraverso la voce di Manuel, gridata, incazzosa o rallentata e riflessiva. Praticamente, ormai, uno di famiglia che ti porta per mano alla scoperta di un disco che, come di consueto, richiede ascolti attenti e ripetuti prima di svelarsi e farsi apprezzare per quello che è. 


Folfiri e Folfox: un doppio album che non sembra nemmeno tale, che racchiude, dal punto di vista stilistico, praticamente tutte le anime degli Afterhours dal 1995 in avanti. Una specie di Best Of o di Vademecum del sound della band. Per questa ragione e per mille altre, tante quanto il numero degli ascolti fin qui effettuati, questa recensione non sarà né una critica né una riflessione inutile sulla rinascita di un gruppo che non è mai morto, nemmeno per finta, o della maturità di un leader che non ha bisogno di dimostrare assolutamente un cazzo a nessuno. Né tanto meno, figuriamoci, una disamina sulle scelte di Manuel al di fuori del gruppo visto che il ragazzo è maggiorenne e vaccinato e se vuole partecipare alla nota trasmissione televisiva saranno pure fattacci suoi.
Limitiamoci invece al succo della questione:
Folfiri e Folfox, è vero, parla molto di morte. Morte fisica, morte dell'amore e ahi noi, morte del cervello, morte civica, sociale. Per questo potrebbe anche essere considerato un concept album, se amate l'idea di queste classificazioni.
Comincia con un urlo di dolore, bellissimo: Grande. Canzone veramente commovente al di là delle considerazioni private e pubbliche sul padre di Manuel Agnelli e i lutti più in generale. L'ineluttabilità di ciò che è naturale e il solito vecchio problema dell'incapacità di accettarlo legato alla nostra cultura: " Tu giurami che noi non moriremo mai Questo puoi farlo?".
Continua con Il mio Popolo si Fa, un aggiornamento tragico della mitica Sui Giovani d'Oggi ci Scatarro Su, niente più ironie qui ma la constatazione di un degrado senza fine e probabilmente la preoccupazione di un padre per il destino dei figli in questa zozza società: "Sei italiano, prima o poi sorridi ride anche la tua disperazione" - " Sole mio sta in fronte a me fatto d'anfe in un festino perché guardo quest'orrore e festeggio il mio destino" ipse dixit!.
L'odore della giacca di mio padre è un tappeto sonoro ricamato dal piano e un momento di riflessione d'autore, verrebbe da dire; i ricordi si fanno spazio e appare una chitarra tagliente, noise giusto per guastare il panorama dei ricordi struggenti, dolorosi: " So navigare nel panico solo e si lo so che lui resta dentro di me".

Non Voglio Ritrovare il Tuo Nome è un hit! E' la chiave d'accesso, la password d'entrata all'intero disco, il chiavistello grazie al quale si riesce a scardinare l'album e entrarci in sintonia. Un momento prima sei lì che cerchi di capire e il secondo dopo sei cotto, intrappolato nell'ora e due minuti che dura il disco, il nuovo ritmo della tua giornata. Testo perfetto, stile che rimanda ai tempi di Non è Per Sempre e storia di un amore finito (morto) che lascia il segno dentro. 
Di ballata si può parlare anche della successiva e circolare Ti Cambia il Sapore che sembra una conversazione sul mistero di ciò che ci aspetta dopo. Ritmo incalzante e battente con l'aggiunta del violino di  D'Erasmo, altro protagonista dell'intero disco, per un pezzo che cresce alla distanza: "Ho visto la crepa in me la vita che gocciola è mia".
San Miguel: litania ossessiva con contorno di noise, un intermezzo che potrebbe servire, dal vivo, come trampolino di lancio per qualche deflagrazione noise...tipo Dea, giusto per capirci. Un testo che probabilmente fa riferimento all'Arcangelo Michele, comandante delle milizie celesti, amico di Lucifero prima del suo tradimento, figura presente in tutte le religioni monoteiste. Ma potrebbe anche trattarsi di un riferimento alla nota birra: "San Miguel Ovunque io vada ho il tuo amore che mi protegge."
Introdotta da un potente giro di basso Qualche tipo di Grandezza ci riporta al già citato Hai Paura del Buio?; Manuel cambia spesso registro vocale per un pezzo tra i più "su di giri" dell'intero lotto: "Tre mie lame per due tue lacrime tre mie spine per due tue lacrime si è crudele che piaccia tanto a te l'aria fredda sulle tue lacrime".
Cetuximab, che è il nome di un farmaco, è un altro intermezzo strumentale notevole che chiarisce quali siano i riferimenti musicali di una tra le più importanti band del rock nostrano.
La prima parte si chiude con un Manuel urlante nella soffice Lasciati Ingannare con un ritornello appiccicoso come pochi: "lasciati ingannare una volta sola..."


Oggi è il primo pezzo della seconda parte di questo doppio, ma non sembra: viaggiamo su traiettorie vicine a Quello che Non C'è, stilisticamente parlando; un pezzo morbido con una chitarra psichedelica, molto anni '70. C'è una sensazione di sollievo in questo brano, sollievo dal dolore, dalle sofferenze:
"E che il tuo male ora non ci troverà mai non ci prenderà mai il tuo dolore ora
non ci troverà mai"
Ma è una pausa illusoria perché il male ritorna immediatamente attraverso la malattia, con la titletrack Folfiri o Folfox, non certo un pezzo trainante ma semi strumentale, molto noise dal testo parecchio cupo.
Bellissima e aggressiva, anche nelle liriche, la successiva Fa Male solo La Prima Volta con un gran lavoro delle chitarre, sicuramente sarà festa grande a Pogolandia, e la cara vecchia sboccata ironia di Manuel: "ciao ciao piccola, che gran troia sei".
Noi Non Faremo niente è cupa al punto giusto e mostra un interessante lavoro alla voce di Manuel, due voci per l'esattezza, che poi farà altrettanto con la successiva Né Pani Né Pesci, entrambe pur diverse tra loro hanno un punto di contatto nel ricordarci che siamo di fronte a un disco o meglio due, di un gruppo rock. Ed ecco allora che soprattutto nella seconda delle due ci ritroviamo anima e corpo catapultati negli anni '70 con tanto di riff di chitarra, cori e un'interpretazione particolare di Manuel mentre ancora una volta fa centro con un testo chiaro come il sole: niente miracoli quaggiù! "perché tu vuoi sia magica la tua libertà mentre io mi eccito a dir la verità - abbracciati a quel che hai nessuno ormai porterà né pani né pesci non avrai né pani né pesci"
Ophyrix è un'inquietante litania e ritorna quel famoso cazzo di violino, ancora d'Erasmo. Precede l'incazzosa e casinara Fra i non viventi vivremo noi e la struggente e quasi parlata Il trucco non c'è che rallenta il ritmo prima della magistrale chiusura:". Eh si perché Se io Fossi il Giudice è un vero gioiello, sia musicalmente parlando che per quel che riguarda il testo, una poesia, che, come in un giro in tondo, chiude e torna esattamente là, a Grande, dove tutto ebbe inizio. Buon ascolto!


Oggi svegliandomi ho realizzato che
che tutto il resto è stupido, voglio provare a vivere,
che ci sia luce oppure sia oscurità,
cammino come un uomo e parlo come un uomo,
e in mezzo a tutta questa casualità,
cosa potevi fare,
cosa potevi avere,
potevi mai capire, poteva mai finire.

Se io fossi il giudice m'inginocchierei,
e darei il tuo nome ad ogni preghiera che riconoscerei,
in mezzo a tutta questa casualità,
chi scappa, chi è di pietra,
chi si converte a Dio,
chi spiega le ali e vola via.

Ognuno ha un modo di abbracciare il mondo,
il modo che ho è soffrire fino in fondo.

Libero di non essere più me,
libero di non piacerti più libero di buttare tutto via.

Oggi svegliandomi ho realizzato che
che tutto il resto è stupido,
voglio provare a vivere.

Se io fossi il giudice m'inginocchierei,
non ti farei domande,
non chiederei perché ho smesso di nascondermi,
mi riconoscerai,
cammino come un uomo e parlo come un uomo,
e non ho ali e volo via.

Ognuno ha un modo di abbracciare il mondo,
il modo che ho è soffrire fino in fondo.

Libero di non essere più me,
libero di non piacerti più
libero di buttare tutto via.

Oggi svegliandomi credevo fossi tu,
che mi dicevi 'stupido', devi tornare a vivere.

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