Ten Second After: Mass Gothic, Turin Brakes, Bert Jansch, DIIV

di RSK

Monasterium sine libris est sicut civitas sine opibus, castrum sine numeris, coquina sine suppellectili, mensa sine cibis, hortus sine herbis, pratum sine floribus, arbor sine foliis... 

Che possibilità ci sono che il Rock, caro vecchio Rock, torni ad essere protagonista nella scena musicale indie di oggi? Domanda da perderci il sonno. La risposta è complessa ma bisogna constatare che la musica indie oggi come oggi ha preso centomila direzioni diverse allontanandosi sempre più da quello che nel secolo scorso consideravamo all'unanimità rock. Prendete per esempio questo disco d'esordio: Noel Heroux del Massachusetts si accasa alla Sub Pop, cioè non so se rendo, e presenta questo omonimo chiamato Mass Gothic. Impossibile dire che ci sia dentro del rock ma molto limitante sarebbe definirlo un disco pop. Semplicemente ormai i miscugli di generi, i rimandi ai quei gruppi o a questi periodi musicali sono talmente tanti e sfaccettati da rendere sfuggente una qualsivoglia definizione. Qual è il metro di giudizio di un povero "critico" rimasto ancorato alle vecchie mode dunque? Direi la creatività. Ed ecco che allora la creatività vince alla lunga sulle seghe mentali. Per questa ragione Mass Gothic è un disco piacevole e che non annoia mai. Certo, leggermente innamorato di certo electro-pop anni '80, anche di quello un po' cazzaro, ma che riesce sempre a stupire. In Soul per esempio affiora una psichedelia britannica d'antan, non facciamo nomi per carità, mentre Nice Night fa fede all'aggettivo del titolo e in più ci rimanda a certo rock alla Smashing Pumpkins. Perché infastidirsi dunque se Noel Heroux ha deciso di non darci punti d'appoggio ma piuttosto di portarci in giro per i diversi accenti dell'indie d'oggi?




Cari Turin Brakes, bentornati. Vi avevamo lasciati, adoranti (noi), nel 2013 con il quasi capolavoro We Were Hare e quel suo vagare nella psichedelia moderna attraverso ballate perfette e poetiche suite. Vi ritroviamo a distanza di 3 anni così, un po' all'improvviso, con questo Lost Property; vi ritroviamo più o meno dove vi avevamo lasciato e per questo vi ringraziamo, solo un po' meno ispirati ma non possiamo certo farvene un torto. Il disco è bello e ci piace, è un disco poetico e imperniato di un certo romanticismo o forse sarebbe meglio dire di romantica sciallezza. Noi forse si preferisce quel guizzo di follia che ci aveva fatto innamorare perdutamente dell'altro, ma sappiamo che non sempre è possibile essere geniali; e poi alla fine noi per scrivere queste due righe ci stiamo mettendo cinque minuti mentre voi per fare un disco ci avete messo tre anni! Quindi ci ritiriamo, in silenzio e in ascolto, ringraziandovi di nuovo per aver battuto un colpo. Che comunque ne vale sempre la pena.


Nella totale distrazione musicale in cui mi ritrovo in questo incipit di 2016, il risveglio dal torpore è senz'altro da attribuirsi a questa meraviglia di Bert Jansch. Avocet è un disco del 1978 ristampato nel 2016 e solo questa è la scusa per parlarne qui. Avocet è semplicemente un capolavoro. Un disco che letteralmente è un viaggio, non necessariamente in Scozia, paese d'origine del chitarrista scomparso nel 2011 e del cui folclore è impregnato, ma un viaggio. Sulle ali dell'uccello ritratto nella copertina e che da il titolo all'album e di tutti gli altri che danno il titolo alle tracce in esso contenute. Completamente strumentale ma non monopolizzato dalle chitarre; c'è anche il piano, il liuto, il violino e il flauto Avocet riesce anche a rendere omaggio alle radici della musica blues altra grande passione del chitarrista. Buon ascolto.


Il progetto DIIV ovvero la band di Zachary Cole Smith giunge al secondo disco e coglie nel segno! Dopo una lunga gestazione dovuta a problemi di droga e alcool di alcuni componenti del gruppo, Is The Is Are infatti si fa apprezzare parecchio malgrado la durata notevole di un'ora per ben 17 brani. Disco arrembante che si colloca a metà strada tra Interpol, Cure e i Sonic Youth degli esordi pur mantenendo personalità e ritmo alti. Difficile dire se ci troviamo di fronte all'ennesima meteora cult della scena alt.rock newyorchese. I presupposti ci sono tutti e il rumore che si è fatto intorno al disco e alla band fanno pensare a un futuro radioso per Zachary e soci. Sempre che fra due giorni non ci si sia già dimenticati di loro. Ma poco importa perché Is The Is Are rimane ed è lì a dimostrare la sua qualità soprattutto chitarristica: da Dopamine a Waste of Breathe, passando per Blue Boredom con la voce di Sky Ferreira e per la bellissima Loose Ends, il rock-noise è di nuovo tra noi.

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