Meid in Italy: Mamasuya, Salmo, Giorgio Danke

Mamasuya - Mexican Standoff

Era il 2013 quando il convincentissimo esordio di un trio d'Alessandria di nome Mamasuya finì dritto sparato nella nostra classifica dei dischi più rappresentativi di quell'anno. Parlammo all'epoca di un progetto emozionante, che muovendosi nell'ambito di certa musica strumentale rendente omaggio ai grandi maestri delle colonne sonore italiane degli anni 70 sembrava "fatto apposta per scoperchiare tetti di locali e shakerare le anche di avvenenti femmes fatales in abiti attillati". Oggi il nuovo corso dei nostri si chiama Mexican Standoff ed è un album che si avvale della collaborazione del trombettista tedesco Johannes Faber (già collaboratore di Billy Cobham, Chaka Khan, Anthony Jackson). La formula resta la stessa, ma mentre l'album precedente poggiava su scarne suite affidate ad un sound grezzo e graffiante, tipico di un classico rocknroll-trio chitarra, basso, batteria, qui il quadro si fa più ricco, sfaccettato e cangiante. Merito sì dell'apporto di Faber, ma non solo: la struttura dei pezzi si fa più complessa, mentre l'equilibrato uso di chitarra, tastiere ed effetti conferisce ai sempre efficaci grooves un piglio più epico e raffinato, cosicchè mentre Mamasuya divertiva come la colonna sonora di un b-movie poliziottesco mai realizzato, qui aleggiano spiriti di una tradizione più nobile, che conta tra le sue fila nomi come Rota, Alessandroni (fra gli altri) ed ovviamente il grande Morricone. Siamo sinceri: qualche anno fa ad intrigarci dei Mamasuya fu anche la loro anima un po' selvaggia e bastarda, che nel nuovo lavoro un po' si perde. Ad ogni modo, oggi, anche a fronte del fatto che in certi contesti musicali nulla v'è di peggio che ripetersi, siamo lieti di riscoprirli eleganti e comunque semplicemente eccellenti. (Johnny Clash)




Salmo - Hellvisback

"Volevo resuscitare Elvis. Sono un suo fan da quando ero ragazzino, avevo bisogno di qualcosa di storico da unire a qualcosa di attuale. Abbiamo in comune la vena rock'n'roll". Se c'è una cosa che mi piace del rap è il suo lato cafone, strafottente e talvolta un po' trash, e cioè quel lato che normalmente raccoglie più critiche da quegli altri ambienti della musica underground nazionale, che sembrano non riuscire davvero a digerirlo. A me invece piace proprio quest'aspetto, perchè lo trovo appunto molto molto rocknroll, ed ecco perchè non mi sono voluto lasciar sfuggire l'ascolto dell'ultimo album di Salmo, che apertamente indica nel Re del Rocknroll uno dei suoi riferimenti. L'artista sardo arriva a questo disco, il primo sotto etichetta Sony Music, dopo il successo di Midnite, posizionatosi ad aprile 2013 addirittura al primo posto della classifica italiana. E' un disco a tratti suonato, suonato dallo stesso Salmo, che in una recente intervista ha dichiarato di essersi occupato personalmente di diverse tracce di batteria, chitarra e tastiere delll'opera, che vede anche la partecipazione del batterista dei Blink 182 Travis Barker. Opera fatta di incroci e parallelismi, Hellvisback è così quasi un concept nel quale il rapper cerca di saldare assieme il suo trascorso hip-hop con la celebrazione di un background vintage-rock cui parrebbe molto affezionato. L'operazione risulta però riuscita a metà, e l'album resta diviso tra brani riuscitissimi ed altri piuttosto prescindibili, a causa del fatto che fissati questi intriganti presupposti, Salmo non trova poi il coraggio di spingersi davvero fino in fondo nella loro esplorazione. E' infatti solo quando si arriva a pezzi come 1984 o Hellvisback che si intuisce la bellezza a cui si sarebbe potuti giungere cavalcando realmente questo percorso, che in realtà però non riesce a svilupparsi pienamente nelle tracce rimanenti, benchè si possano trovare nell'album altre composizioni di spessore come Mic teaser, Io sono qui, Bentley vs. Cadillac. In sintesi, insomma: un buon disco rap, con alcuni picchi, ma purtroppo e soprattutto, una grande occasione perduta. (Maurisio Seimani)



Giorgio Danke - Caldo invernale

Sono passati circa due anni da quella sera in cui restai impressionato dal concerto di un gruppo che allora non conoscevo per nulla, tale Fraulein Rottenmeier, che poi scoprii essere composto da ragazzi provenienti dalla, a me vicina, Valcamonica. Dei nostri non posso che consigliare l'ascolto di Elettronica Maccheronica, del 2011, e del successivo Rottami, mentre è con piacere che oggi mi trovo qui a segnalare Caldo Invernale di Giorgio Laini, qui Giorgio Danke, che della band citata è cantante e frontman. Anche qui, come nell'opera dei Fraulein del resto, le composizioni musicali si affidano dunque ad una intelligente e scanzonata ri-attulizzazione di certo pop-rock elettronico italiano anni 70/80, all'interno del quale potremmo annoverare apprezzati artisti quali Battiato, Camerini, Alice, Giuni Russo, ma anche altre blasonate istituzioni nazional-popolari dell'epoca come Raf, il primo Eros Ramazzotti, Donatella Rettore, Amanda Lear e Loredana Bertè. In Caldo Invernale però l'operazione poggia su arrangiamenti più semplici, più precisamente su un'utilizzo minimale dell'elettronica che ricorda (non tanto nel sound, ma nell'approccio) quello che fu appunto del Battiato di Summer on a solitary beach o Cuccuruccuccù o Bandiera Bianca e nel piglio il Battisti di Con il nastro rosa ed Una giornata uggiosa. In quanto ai testi invece, divertenti, divertiti e dissacranti, mettono in scena slanci, spleen ed emozioni tipici di un un certo poetico romanticismo di provincia, sì provincialista, ma mai provinciale. Un prodotto per certi versi naif, ma sentito e sincero, che peraltro ben s'accompagna a questo caldo invernale, che velocemente ci sta conducendo verso la primavera. "Scoppiano le guerre come tanti pop-corn, noi sopravviviamo come gli Abba e i Duran Duran", recita uno dei pezzi dell'album. E' il nostro sentito augurio anche per il sig. Giorgio Danke ed i suoi capelli color platino. (Maurisio Seimani)


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