Ultimo giorno di vacanze americane per il prof. Willi:
quale migliore occasione per chiudere in bellezza sparandosi un concerto di
Jack White. Proprio lui, il Johnny Depp della musicale internazionale. Il
paragone non appaia azzardato, oltre alla notevole somiglianza fisica, se
l'attore è la personalità più rock'n'roll dell'industria cinematografica, White
sicuramente è il più cinematografico di quella musicale. E lo show di stasera
ne è la conferma.
Due date, di cui una
sold-out quella di sabato 23, a San Francisco casualmente nell'auditorium
proprio a meno di mezzo miglio dallo squallido hotel in cui sono alloggiato.
Troviamo facilmente i biglietti e dopo una veloce e composta coda siamo
all'interno, con altrettanta velocità e compostezza ci ritroviamo a circa 15
piedi dal palco. Alle 20 precise attacca il gruppo di apertura: Curtis Harding,
musicista che fonde la tradizione black con l'indie rock, 30 minuti
dignitosissimi; mi riservo un ascolto approfondito a casa.
Alle 21.05 si apre il sipario - letteralmente - e Jack White irriconoscibile coi capelli corti, frangetta e basette attacca con Fell in love with a girl degli White Stripes. Dagli Stripes verranno suonati altri brani, così come un paio dai Racounters e alcune covers. La band è affiatatissima e White la dirige dimenandosi sul palco, permettendosi di dare indicazioni durante l'esecuzione dei brani ai singoli musicisti, con cenni, occhiate; alcune menzioni: il batterista, un colosso nero che spesso intrattiene colloqui sonori con il leader - ne nascono improvvise code, reprise, medley con altri brani; il poli strumentista: un signore brizzolato pettinato come Severus di Harry Potter che passa disinvoltamente dalla slide guitar, al theremin, al violino senza scomporsi. Mr. White riesce a tenere il palco anche da solo, tanto è il carisma e la carica che trasuda.
Alle 21.05 si apre il sipario - letteralmente - e Jack White irriconoscibile coi capelli corti, frangetta e basette attacca con Fell in love with a girl degli White Stripes. Dagli Stripes verranno suonati altri brani, così come un paio dai Racounters e alcune covers. La band è affiatatissima e White la dirige dimenandosi sul palco, permettendosi di dare indicazioni durante l'esecuzione dei brani ai singoli musicisti, con cenni, occhiate; alcune menzioni: il batterista, un colosso nero che spesso intrattiene colloqui sonori con il leader - ne nascono improvvise code, reprise, medley con altri brani; il poli strumentista: un signore brizzolato pettinato come Severus di Harry Potter che passa disinvoltamente dalla slide guitar, al theremin, al violino senza scomporsi. Mr. White riesce a tenere il palco anche da solo, tanto è il carisma e la carica che trasuda.
Il pubblico americano sembra partire bene con un pogo
discreto e un paio di tentativi di stage diving (di cui uno rasente la mia
testa), ma per il resto troppo compito per i miei gusti. Accanto al
sottoscritto una madre con figlio, due ciccioni sudati impossibilitati a
muoversi a causa della loro stazza e padre con figlia; con dei simili vicini di
concerto è quasi impossibile dimenarsi come un ossesso del rock.
La prima parte dello show circa un'ora e un quarto e
scorre tutta d'un fiato: erano anni che non sentivo tanta potenza, tante
distorsioni, tanta chitarrosità; i volumi sono assurdi, da far sanguinare le
orecchie (cosa che in Italia, nel bene o male, non accade più), tutti questi
decibel però vanno a discapito del nitore dei suoni.
Molta cura all'aspetto scenico: Jack White nel suo
ultimo lavoro Lazaretto crea un preciso immaginario estetico che ripropone sul
palco in una rivistazione del dresscode del bluesman d'antan: camicia,
cravatta, pantalone attillato e scarpe di vernice. Il blu è il colore
dominante, nero e bianco gli altri concessi: gli abiti dei musicisti, così come
quelli dei roadies (finalmente non in baggy pants e t-shirts nere), le luci, la
scenografia, il sipario: tutto accordato su questa chiave cromatico/estetica.
Il bis è una scarica di adrenalina: Lazaretto, Steady,
as she goes, Sixteen saltines con un incredibile Devil's haircut di Beck
buttata in mezzo inaspettatamente, e gran finale con l'anthem Seven nation
army!
Il trasferimento in pianta stabile a Nashville si fa
sentire: il sound è intriso di blues e tutto suona così maledettamente southern,
ma senza dare l'impressione di un fastidioso citazionismo o di una bella
oleografia. Semmai un'evoluzione nel solco di una tradizione ormai secolare.
C'è tanto sudore e tanto sangue nella musica di White e la band riesce a
trasmettere alla perfezione.
Che dire, quasi due ore di puro godimento, con uno dei migliori
musicisti in circolazione e in una delle capitali storiche del rock. Cosa
chiedere di più ad una vacanza?
(PS: Mr. White è caduto durante un assolo infuocato facendosi
del male. Se non ci credete:
Fell in Love With a
Girl
(The White Stripes song)
Just One Drink
Dead Leaves and the Dirty
Ground
(The White Stripes song)
Temporary Ground
Love Interruption
Hotel Yorba
(The White
Stripes song)
Cannon / Little
Room
(The White Stripes song)
Missing Pieces
Top Yourself
(The
Raconteurs song)
We're Going to Be
Friends
(The White Stripes song)
You Know That I
Know
(Hank Williams cover)
Three Women
Apple Blossom
(The
White Stripes song)
Hypocritical Kiss
I'm Slowly Turning Into
You
(The White Stripes song)
Screwdriver
(The White
Stripes song)
Born Under a Bad
Sign
(Albert King cover) (Live Debut)
Ball and Biscuit
(The
White Stripes song)
Bis:
High Ball Stepper
Lazaretto
Steady, As She
Goes
(The Raconteurs song)
Sixteen Saltines / Devil's
Haircut
(Beck cover)
Death Letter
(Son
House cover)
Seven Nation Army
(The
White Stripes song)
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