War Ina Babylon non è solo il titolo di un celeberrimo pezzo reggae e dell'omonimo album pietra miliare prodotto da Max Romeo assieme all'onnipresente Lee Scratch Perry. L'immane ondata di violenza che investì la Giamaica nella seconda metà degli anni Settanta non è dovuta a meri problemi di sicurezza o di mantenimento dell'ordine pubblico di fronte al proliferare incontrollato di gang criminali più o meno organizzate. Ha radicate motivazioni politiche che permettono oggi di poter asserire che quanto avvenuto in quel periodo sull'isola, abbia avuto davvero connotazioni simili a quelle di una vera e propria guerra civile. War Ina Babylon appunto. Forse non una guerra per come la intendiamo da queste parti (tutto sembra destinato a svilupparsi in maniera un po' diversa lungo le sponde della musica in levare).
Ma pur sempre: una guerra.
Il PNP di Michael Manley salì al potere in Giamaica nel 1972, promuovendo una politica di stampo progressista e socialista, che generò in principio altissime e, col senno del poi troppo ottimistiche, speranze ed aspettative. In verità, dopo soli tre anni, le poco oculate scelte del PNP sia in politica estera che internazionale, portarono il paese a ritrovarsi isolato e nel pieno di una profondissima crisi economica. La situazione sfuggì però completamente di mano nel 1976, e cioè nell'anno in cui il popolo giamaicano venne nuovamente chiamato al voto. Nel periodo immediatamente precedente a Kingston si contarono più di 200 omicidi. Il 3 dicembre di quell'anno Bob Marley, che avrebbe dovuto suonare 2 giorni dopo ad un concerto organizzato proprio per stemperare le tensioni elettorali, scampava miracolosamente ad un attentato nella sua villa di Kingston, al n. 56 di Hope Street. (Marley si presentò poi comunque al concerto come da programma, benchè ferito al braccio. A chi gli chiese dove avesse trovato tanto coraggio, replicò semplicemente: "Le persone che cercano di fare diventare peggiore questo mondo non si concedono mai un giorno libero. Perchè dovrei farlo io?").
War Ina Babylon. Michael Manley, l'uomo che aveva promesso di liberare Kingston dallo strapotere delle bande armate (normalmente controllate dal partito antagonista del JLP) aveva fatto l'esatto opposto, armando anche la mano del PNP nello stesso identico modo, oltrettutto buttando carne sul fuoco attraverso una continua campagna elettorale giocata sull'antagonismo socialismo contro antisocialismo, venata a volte da striature grottesche. Sembra che anche bere la marca di birra sbagliata in quegli anni a Kingston potesse costare caro. La nazionale Red Stripe ti identificata come uno vicino al JLP, la verde Heineken come un sostenitore del PNP. Perchè vi state chiedendo? Nessun perchè. War Ina Babylon.
In tutto questo il rastafarianesimo divenne un modo per reagire. Una controreazione. Può sembrare paradossale a dirsi, ma esistono circostanze in cui farsi crescere dei dreadlocks, fumare marijuana, invitare tutti ad una vita di pacifica ricerca spirituale può diventare semplicemente una posizione di buonsenso nel delirio. Per questo dal 1975 in poi il popolo rastafari in Giamaica crebbe esponenzialmente. E sempre per questo, a differenza dell'epoca rude boys, in questo caso la presa di distanza del reggae (ormai sempre più legato al rasta) da tutto quanto stava accadendo fu totale.
Sarà attraverso le parole al veleno di Peter Tosh durante il OneLove Concert del 1978 che, proprio attraverso il reggae, verranno sputate in faccia ai due infami protagonisti politici di quel periodo lì presenti (Manley e Seaga) tutte le colpe dei loro partiti. E questo solo poco prima che Marley, come un buon padre di famiglia, li avrebbe costretti a salire sul palco ed a stringersi la mano come fossero due bambinetti idioti. Ma questa è un'altra storia che narreremo in altro reggae tales.
Qui sotto intanto c'è War Ina Babylon. Non solo un'album, dunque, ma la più lucida reazione in musica a una stramba guerra civile giamaicana.
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