Lou Reed, Velvet Underground, Manu Dibango, Silver Mt.Zion, Steve Ray Vaughn: Ten Years After

Ritorna Ten Years After con un dovuto omaggio al Dio del Mese Lou Reed e ai Velvet Underground. Per questo mese la macchina del tempo si ferma al 1973 ma propone due dischi totalmente agli antipodi per il 2003; anche per esplorare orizzonti diversi dal solito uscendo un poco dalle strade del rock che spesso e piu' che volentieri questo blog attraversa in lungo e in largo. Buon ascolto!

di RSK

 

 Manu Dibango e Cuarteto Patria: Cubafrica (2003)

Poco importa stabilire se il camerunense Manu Dibango, con un immensa carriera alle spalle, sia o no il piu' grande sassofonista vivente. Poco importa sapere che viene considerato come il creatore della Dance Music grazie al suo esordio del 1972, Soul Makossa. Cio' che conta e' sottolineare come in una delle sue scorribande fuori dal continente africano Manu, nel 2003, abbia incontrato la musica cubana e la sua unica commistione di generi "nobili" e "popolari" che spaziano dalla salsa alla rumba alla timba al jazz caraibico e che ovviamente sancisce il legame tra l'isola americana e il continente nero. Il Cuarteto Patria mette a disposizione la decennale esperienza e un repertorio classico invidiabile; Manu il proprio sassofono. Ne nasce un disco eccezionale, una prova di forza e superiorita' dei ritmi afrolatini di fronte ai quali e' impossibile rimanere fermi. Come antipasto il polistrumentista di Douala offre un'incredibile rivisitazione del classicissimo messicano Cielito Lindo, tanto per dare qualche indicazione geografica; poi e' un susseguirsi di perle cubane: da Son de la Loma a Yerberito, el Carnaval e molte altre c'e' solo l'imbarazzo della scelta.


Silver Mt.Zion: This Is Our Punk-Rock (2003)

Nati da una costola dei Goodspeed You! Black Emperor, tutti canadesi dunque,  i personaggi in questione, che da qui in poi chiameremo SMZ per semplicita', ci presentano nel 2003 la loro personale rivisitazione del concetto di punk-rock. Ne nasce un'interessante "opera" musicale ispirata a certa pischedelia progressiva degli anni '60-'70. 4 suite per un totale di 57 minuti di svarioni e deliri per un gruppo di nicchia che sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire. Da sottolineare in particolare la bellissima Babylon Was Built On Fire dalle parti della Mucca.





  The Velvet Underground: Live MCMXCIII (1993)

«Quattro musicisti attempati che suonano semplici e tristi canzoni rock adolescenziali con la passione di un quartetto di annunciatori ferroviari».
 New Musical Express

Questi, piu' o meno, i giudizi con cui certa critica accolse nel 1993, la reunion di una delle più importanti e influenti rock band della storia. Certo non dovette essere facile cercare di rinverdire i fasti di un'epoca irripetibile in un contesto sociale e culturale cosi' diverso da quello della New York degli anni '60. Questo disco pero' ha un valore assoluto, quello cioe' di mettere in fila uno dietro l'altro i successi dei Velvet Underground interpretati dai protagonisti di quella fantastica band che ha dato tanto al rock mainstream e soprattutto all'indie rock. Un succulento doppio live fedele testimonianza del primo e ultimo tour di reunion del gruppo.





Steve Ray Vaughn: Texas Flood (1983)  

A nessuno verrebbero in mente gli anni '80 ascoltando questo disco d'esordio di Steve Ray Vaughn. Invece si! Il chitarrista texano lo pubblica proprio nel 1983, ed e' un botto! Il blues non era mai stato cosi' lontano dai gusti degli ascoltatori, soprattutto negli Stati Uniti, come negli anni '80. Texas Flood contribuisce a riportarlo in auge e a riprendere ipoteticamente un cammino "interrotto" alla fine degli anni '60. Il disco e' da considerarsi cosi' un classico blues americano e permette al mondo di conoscere un grandissimo chitarrista noto ai piu' soprattutto per la tragica scomparsa. Disco suadente, moderno e antico al tempo stesso da ascoltare ad occhi chiusi.





 Lou Reed: Berlin (1973)

Inutile aggiungere parole al bellissimo omaggio che Stephen Ruer ha voluto tributare al dio del mese di novembre un paio di settimane fa. Mi limito qui a far notare che Berlin esce nel 1973 a ridosso di uno dei piu' grandi successi commerciali e di critica di Lou Reed ovvero sia Transformer. Inutile altresi' dire che la prematura scomparsa (questa e' una delle classiche frasi da coccodrillo) del cantautore americano ha provocato negli amanti del rock profonda tristezza e depressione. Ecco perche' per trovare l'antidoto al maledetto male oscuro potremmo iniettarci una dose, quasi letale, di virus! Berlin e' un disco fatto apposta. Nero come la morte, colonna sonora ideale per i ragazzi dello zoo di qualsiasi Berlino. Un disco concettuale e opposto alla sbornia "commerciale" dei Perfect Day, Vicious e Walk on The Wild Side pubblicati appena un anno prima. Un disco ideale per far fare l'ennesima figuraccia ai critici americani che lo definiranno a torto la pietra tombale della carriera di Lou Reed.

1. Berlin 
2. Lady Day
3. Men Of Good Fortune
4. Caroline Says I
5. How Do You Think It Feels
6. Oh Jim
7. Caroline Says II
8. The Kid
9. The Bed
10.Sad Song

4 commenti:

  1. La lucidità del Maestro è raggiante come la scoreggia che si meriterebbe in faccia Seimani.

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  2. fgfhjvhjvbhkjkvkhcvhychy26 novembre 2013 alle ore 09:00

    SEIMANI, sono in arrivo tempi bui. Si prevedono chilate di merda e pisciate a go-gò sulla tua sporca faccia.

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