Elvis Costello & The Roots - Wise Up Ghost
Tra le uscite più attese di quest'anno, l'album che segna la collaborazione di Elvis Costello con i Roots non poteva che essere intriso di influenze black (funky, soul, hip hop), sulle quali l'opera si muove con elegante scioltezza e presagita maestria. Un disco dall'ascolto piacevole che ha però il difetto di arrivare un po' troppo tardi in anni in cui nell'ambito della black music si stanno sfornando album semplicemente bellissimi: da Aloe Black a Bobby Womak, da Mavis Staples a The Child of Lov, da Michael Kiwanuka a Dennis Coffey...e in tutto questo Wise Up Ghost appare francamente solo un'opera senza infamia nè lode che, molto semplicemente, si lascia ascoltare. Giudizio: quasi 3 palle. PLAY!
MGMT - MGMT
Altra uscita molto attesa, il nuovo album degli MGMT si muove su sonorità tipicamente Sixties, che cercano di omaggiare, riattualizzandola, certa psichedelia tipica dell'epoca. Si potrebbero citare i Pink Floyd, in particolare Syd Barret, i Beatles di Magical Mystery Tour, i Beach Boys di Pet Sounds e, fra i nomi più recenti, Air e Flaming Lips. Si potrebbero citare, si diceva, ma il punto è che forse invece non ne vale nemmeno la pena, perchè il prodotto finale, nonostante l'innegabile maestria con cui è stato confezionato, suona asettico, vuoto, e poco coinvolgente. Giudizio, dunque: 2 palle e mezza. PLAY!
Laura Veirs - Warp & Weft
Registrato durante i suoi 9 mesi di gravidanza, il nono disco di Laura Veirs, songwriter del Colorado in attività da ormai una quindicina d'anni, è un semplicissimo album di musica cantautorale americana, nell'accezione più classica del termine. Si è dunque di fronte ad uno di quei dischi in cui la differenza può farla solo la nuda e cruda capacità compositiva, che però nel caso di Laura si rivela spesso notevole. Ne esce dunque un'opera gustosa ed equilibrata, il cui ascolto si rivela a tratti addirittura rinfrancante. Giudizio: 3 palle. PLAY!
Strangers Family Band - Strangers family Band
Volete fare un tuffo, ma un vero tuffo, indietro fino al 1968? In questo album non v'è una sola nota che non sembri uscire da lì. Un'album estremamente derivativo e totalmente anti-innovativo, con cantati alla Jim Morrison, distorsioni alla Jimi Hendrix, e desueti assoli fiume in classico stile Crazy Horse, che esce peraltro in un periodo in cui i giovani tributi alla musica di quei tempi si sprecano. E allora? Cos'è che fa meritare anche più di un ascolto a questo disco? Molto banalmente: delle belle canzoni. Giudizio: 3 palle. PLAY!
M.S.
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