Earwig: Pause For The Jets

di RSK
 
Eccolo! L'ho trovato, finalmente. Dopo un anno di attesa, vana e di illusioni fugaci finalmente ho trovato il disco che fa perdere la testa. Fatta eccezione per i soliti noti, vedi Afterhours, infatti il 2016 per il momento aveva portato solo discreti album quasi tutti ascrivibili all'ondata del revivalismo infinito che sta saccheggiando la musica dei decenni andati, in questi tristi ultimi anni in cui il rock sembra relegato in secondo piano rispetto alla musica nuova. I Giovani, si sa, hanno sempre la ragione dalla loro quando si parla di 7 note, per cui mi è stato fatto notare che se non mi piacciono gli "artisti" che vanno per la maggiore è colpa mia, sono vecchio, non capisco. Infatti, non capisco, non capisco come si faccia a non saltare sulla seggiola ascoltando Pause For The Jets. Non capisco come si faccia a definirla musica antica, vecchia. Sarà forse perché questo simpatico combo di forbicine è in giro dai '90? Sarà perché la loro ricetta è semplice e consiste nel darci dentro come dei dannati? Mah. 
Di fatto i nostri eroi, originari di Columbus, Ohio, per inciso uno degli stati del Midwest che hanno tradito i democratici nelle recenti elezioni, ma poi trasferiti armi e bagagli nell'assolata California, sono già alla nona avventura discografica. Pause For The Jets infatti arriva dopo un EP due LIVE e cinque ALBUM. Il capobanda è un tizio, che si chiama Lizard McGee, che sembra il ragioniere della porta accanto e, come si vede anche dalla copertina, in generale non sembrano esattamente un terzetto di spericolati tossici dediti al sesso e al rock'n'roll. Non fatevi mai, e dico mai, ingannare dalle apparenze. 
Come ben recita la cartella stampa del gruppo gli Earwig sono uno dei segreti meglio custoditi dell'indie americano odierno e sono spontanei e spericolati. Insomma sono incredibilmente bravi! Ma dove si erano cacciati fino a ieri? Perché non avevo mai sentito parlare di loro? Eppure nei '90 era meno difficile perdersi nei meandri dei milioni di gruppi e gruppuscoli che nascono e muoiono tra un social network e l'altro oggigiorno. Domande senza risposte, ma nell'attesa di porre rimedio recuperando l'intera discografia disponibile mi sollazzo con quest'ultimo gioiello. 



Ma come suona Pause For The Jets?
Suona principalmente come un disco di canzoni, grandi canzoni una più coinvolgente e divertente dell'altra che richiamano alla mente due parole: Dream e Power. Meno creativi dei R.E.M. più solari dei Trail Of Dead, meno maleducati dei Green Day più scialli dei primissimi Smashing Pumpkins. Costruiscono melodie che potremmo anche definire pop che quasi sempre sfociano in clangori chitarristici che dobbiamo chiamare rock. Se vi sembrano stronzate ascoltate l'incipit a tutto volume di Wisdom Teeth o le distorsioni della successiva Lover's Chords ed è già un buon inizio. Ma è dalla successiva I Don't Want to Go che comincerà ad apparire un sorrisetto sulle vostre labbra e non potrete fare a meno di dimenare il capo. Occhio è solo l'inizio!
Quarantotto minuti per dodici brani interrotti da brevi siparietti in cui una voce in una lingua, presumibilmente orientale, recita dei versi, a cominciare da Silverheels.
Pezzi che sembrano inni da stadio degni del vecchio Boss anni '80, come Holy Ghost Letter e il duetto con Lydia Loveless in Wasted On You sono solo altre due delle chicche di un album che vi entrerà nelle orecchie come una forbicina...forse vi farà diventare pazzi ma senza distruggervi i timpani.

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