Keith Hudson - Flesh of my skin, blood of my blood (1975)


Un classico del genere e sicuramente uno dei miei dischi reggae preferiti. Inimitabile ed inimitato, Flesh of my skin, blood of my blood di Keith Hudson ha semplicemente un sound unico. Minimale, notturno ed avvolgente, questo disco trascina l'ascoltatore in scenari rarefatti quanto straordinariamente intensi, ammaliandolo con un'eleganza ed una raffinatezza non comuni rispetto a tanto reggae circolante all'epoca. L'anno è il 1975 e Hudson è un artista già maturo: formatosi nella seconda metà dei Sessanta sotto l'ala protettrice dello Studio One di Coxsone Dodd, poi distintosi in quegli stessi anni come produttore della hit di Ken Boothe Old Fashioned Lady e di altre composizioni di apprezzatissime star dell'epoca rock-steady (Alton Ellis, Delroy Willlis, John Holt fra gli altri), si era infine imposto come apprezzatissimo producer anche a Londra, dove aveva deciso di emigrare all'inizio del 1974. 
L'opera qui trattata è il suo primo vero LP, pubblicato l'anno successivo solo sul mercato inglese, ma destinato a diventare presto molto popolare anche presso gli ambienti più avanguardisti della scena di Kingston e a venir considerato alla distanza una pietra miliare della musica giamaicana.


Già la prima traccia Hunting spalanca immediatamente la porta verso un'oscura umida giungla da cui si levano ipnotiche ritmiche tribali, psichedelici echi di chitarre bagnate in acido e felpati suoni di tastiere che si muovono circospette come felini che puntino pazienti la prossima preda. Le seguenti Flesh of my skin e Blood of my blood ondeggiano invece come palme sullo stesso irresistibile loop reggae, rilassato ed avvolgente, ma mentre nella prima fa per la prima volta capolino la particolarissima voce di Keith, nella seconda viene lasciato libero spazio all'improvvisazione musicale. Si prosegue elegantemente nell'esotico chiaroscuro di Darkest night. che come la seguente Talk some sense è sorretta da un sapiente incastro di chitarre e cori. Nel mentre un grassissimo basso fa da impeccabile tappeto sonoro ad un nebbioso fiume in levare che scorre sontuoso fino alla fine del suo percorso.

Si diceva: un sound unico. Che vi piaccia o meno il reggae la certezza è che Flesh of my skin, blood of my blood vi suonerà diverso e come stregato da un magnifico paradosso: quello di suonare, appunto, completamente atipico ed allo stesso tempo tipicissimamente, inconfutabilmente reggae. Nei territori della musica in levare questa è sempre una cosa grande. Grandissima.

1 commento:

  1. Salve, vengo dal passato a portare i saluti dei fan deceduti. l'11 giugno 2011 sulle pagine di Muro di Cani il sig. Johan Fuker Stalker scriveva:

    SEIMANI! OOOOOOOOOH SEIMANI! L'ALTRO GIORNO MI HA TELEFONATO LA DIARREA TUTTA CONTENTA PERCHE' MI HA DETTO CHE, FINCHE' VIVRAI, CI SARA' SEMPRE QUALCUNO PIU' MERDOSO DI LEI.
    TI RINGRAZIA SEIMANI,
    LA DIARREA TI RINGRAZIA!

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