The Walking Dead: sopravvivere è l'unica cosa che conta

“Ogni cosa è cibo per qualcos’altro.”

Non solo una serie televisiva ma anche un film, non solo un film ma anche un fumetto, non solo finzione ma genere. Un genere creato, voluto e sviluppato da un cineasta tra i più geniali del XX secolo: George Andrew Romero. Nel 1968 e ripeto, nel 1968, il regista, sceneggiatore e direttore della fotografia crea un genere parallelo all'horror. Il film è un cult assoluto e si chiama La Notte dei Morti Viventi grazie al quale si scardina un genere e si crea un codice che oltre a diventare la fortuna del regista, che tornerà sul tema almeno in altre 7 occasioni, diffonde l'epidemia dello zombie movie. I cliché sono noti, inutile citarli, ciò che interessa chiarire e premettere è che Romero, come giusto i grandi sanno fare, utilizza il genere, il mondo immaginario e terribile che crea, per parlare metaforicamente d'altro. 
Su queste premesse parte nel 2010 sulla TV via cavo AMC (non a caso il canale dei classici) la serie The Walking Dead, voluta da Frank Darabont e solo in parte basata sulla serie a fumetti di Robert Kirkman da cui ben presto si discosta anche pesantemente. L'idea vincente, fin dalle premesse, è quella di replicare all'infinito gli stilemi e i codici del genere inventato da Romero.



L'ambientazione nel sud degli Stati Uniti con i protagonisti che si muovono tra città e periferie all'alba di quella notte di cui sopra, l'alba di un mondo nuovo. Un incubo senza fine in cui l'unica cosa che conta è sopravvivere: sopravvivere all'attacco dei morti che tornano, sopravvivere alla fine della civiltà e ancora sopravvivere un altro giorno. La serie ha un successo enorme e si moltiplica, a tal punto da essere giunta ormai alla sesta stagione, anzi alla settima già confermata per il 2016. La novità rispetto ai film di Romero sta dunque nel fatto che l'incubo sembra non finire mai, l'arco temporale in cui si muovono i protagonisti è ininterrotto e dopo l'emergenza dell'epidemia, la sorpresa iniziale, il mondo in cui vivono diventa la realtà. 

Si passa così dalla metafora di una società di zombi dell'america degli anni '60 con la guerra in Vietnam, il razzismo e la violenza, alla metafora dell'epidemia che è dentro ognuno di noi, non solo i morti, anche i vivi in un'epoca segnata dalla decadenza, in generale: culturale, sociale, dei valori e lo spauracchio del terrorismo che ci rende tutti diversi e vulnerabili. In The Walking Dead i morti diventano quasi un corollario, un'abitudine, una consapevolezza a cui adattarsi; i vivi sono il vero pericolo, capaci, in un mondo in cui sono saltate le regole, di commettere qualsiasi innominabile e, per l'occasione, splatterissimo ed efferato crimine. In una discesa agli inferi che serie dopo serie sembra voler spostare sempre più in basso l'asticella delle miserie umane.



Al di là della retorica, infatti, è incredibile notare come l'evoluzione dei caratteri dei personaggi risulti essere il messaggio più scioccante e profondo di una serie che non è solo entertainment. Ecco allora che ancor più orrore di una scena splatter in cui uno zombie divora viva una bambina, fa impressione vedere la trasformazione del protagonista Rick da integerrimo sceriffo buono, all'arrivano i nostri, a bestia sanguinaria in preda a incontrollabili deliri e attacchi d'ira; o di Carol, la debole casalinga maltrattata dal marito che diventa crudele serial killer che elimina chiunque si interponga tra lei, la sua nuova famiglia e la salvezza.
In definitiva nell'epoca in cui, è più che evidente che, almeno negli Stati Uniti, il cinema è stato relegato in secondo piano rispetto alla miniera d'oro che rappresenta la televisione (via cavo naturalmente), Walking Dead è qualitativamente l'eccezione positiva: intenso come un film, universale come un libro, assuefacente come un fumetto, interminabile...come il peggiore degli incubi.

Manca la musica? No c'è anche quella. Varie sono le compilation almeno due degne di menzione anche se ormai nell'era di internet è possibile trovare tutti i brani della serie (vai qui). In ognuna di loro spicca la propensione per la musica folk o country, a volte un rock melodico e sporco quasi a voler contrastare la devastante eferatezza delle immagini e dei contenuti. Manca Mark Lanegan ma è una riferimento parecchio presente come invece sono presenti Sharon Van Etten e Damien Jurado solo per citarne un paio fino addirittura alla musica classica e all'elettronica. Immancabile la sigla tormentone.

Fatevi trascinare dall'incubo ma, attenzione, non fatevi mordere!

4 commenti:

  1. Quarto zombi da sinistra9 novembre 2015 alle ore 11:29

    eeeehhhhh ...

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  2. KARL... la 4 e la 5 stagione fanno cagare, Karl!!
    Fanno CAGARE!

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  3. Ottima lettura! Visto questo programma in arrivo su Cielo? Sembra un bel modo per sistemare le controversie in ufficio... http://www.tiaspettofuori.it/

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