Musica e parole: "Non ti muovere" di Margaret Mazzantini (2001)

di Fragoladibosco


Non lo so, Angelina,
dove vanno le persone quando cessano di esistere.
Ma so dove restano.


Non ti muovere lettore che hai buttato gli occhi su questa pagina, ti prego, non ti muovere.


Non ti racconterò la storia di Timoteo, primario di chirurgia in un ospedale romano. Non andrò a svelarti i mille pensieri che sono passati nella sua testa mentre un suo collega operava d'urgenza sua figlia Angela, vittima di un incidente stradale in motorino. Non ti racconterò il lungo monologo interiore che rivolge fittiziamente alla figlia, né psicanalizzerò la sua vita o il rapporto con la sua bellissima e perfetta moglie Elsa o le torbide attenzioni erotiche per la borgatara Italia, sciatta e squallida  come mai dovrebbe essere un'amante (nomen omen?).

Non ti muovere è una lunga preghiera fatta di frasi concise, asciutte e nervose, un lungo flusso cerebrale di ricordi dove non c'è spazio per il sorriso, solo tristezza e depressione. Due vite in stand by separate dalle pareti di una sala operatoria, due cervelli aperti (uno da un chirurgo e l'altro dalla Margaret Mazzantini) a totale disposizione del lettore. Un saliscendi sulle montagne russe delle emozioni, fuori e dentro l'acqua, un tuffo nel passato di Timoteo e un breve respiro nel presente di Angela, un limbo dantesco di spasmodica attesa per una partenza verso la certezza della morte o verso l'incertezza della vita che potrà essere.
Un libro forse furbo, passionale e femminile dove l'uomo è debole ed egoista e la donna sottomessa e sfruttata. Un libro dove l'amore è vivisezionato, da una scrittrice chirurga, nelle sue mille forme ed espressioni in cui il lettore riesce facilmente a incasellare ogni sua esperienza passata.

Un libro dalla fortissima carica emotiva, una narrazione fatta più da schiaffi e pugni che da coccole e carezze. Io non mi sono mosso, l'ho letto tutto d'un fiato. La Mazzantini mi ha catturato forse perché sono un uomo debole anch'io.
E, durante la lettura, ho pensato mille volte a Father and Son di Cat Stevens (oggi, dopo la sua conversione all'Islam, conosciuto come Yusuf Islam), una delle più belle canzoni sul rapporto padre/figlio. Un pezzo che mette in luce, nel dialogo, il conflitto fra chi ha già vissuto e chi invece freme dal desiderio di andare, di allontanarsi, di mettersi alla prova, di vivere e inseguire i propri sogni.
 

4 commenti:

  1. Cazzo gnari, Cat Stevens no però dai, fa cadere i coglioni...

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  2. mi è caduto tutto quello che mi poteva cadere...

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    1. AntiSeimani Fan Club6 novembre 2015 alle ore 17:15

      anche in qs caso un unico grido si leverebbe:


      SEIMANI HAI ROTTO IL C***O!!!!!

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