Moviecanidi: Palestine Now!

di TheDrillerKiller

É più che evidente che, quando si parla di guerra, non c'è mai chi ha torto o chi ha ragione, e che a maggior ragione ciò corrisponde a verità di fronte a una guerra lunga, dove i motivi che l'hanno generata si perdono nella "notte dei tempi" ,travalicando la Storia e le sue epoche, perdendo il contesto immediato, ed assumendo i contorni di un conflitto eterno, fine a se stesso. È però innegabile che, nel conflitto infinito (nel senso che non sembra davvero avere fine) del Medio Oriente, in quello israelo-palestinese, ad oggi esistono vittime e carnefici, vincitori e vinti. I palestinesi chiusi nel labirinto del loro "stato" non hanno gli stessi diritti, come cittadini, degli israeliani.

Costretti alla prigionia tra un check point e l'altro, separati da un muro, non dimentichiamolo (l'ennesimo muro della Storia), vessati dall'oppressione di uno stato più forte che combatte la guerra per la propria difesa con ogni mezzo, compresa l'espropriazione delle terre ad opera dei coloni che con i loro insediamente illegali rappresentano una delle tante spine nel fianco per il processo di pace. 
Ognuno si può fare un'idea sulle ragioni del conflitto, ma nessuno può negare la realtà, sia vedendola con i propri occhi, come tanti fanno e hanno fatto, sia attraverso lo sguardo del cinema e di un regista che, con opere simili per stile e intenti ma distanti tra loro in termini di tempo (2005-2013), racconta come pochi la terribile realtà nei territori occupati. 


Hany Abu-Assad, palestinese di Nazaret, emigrato in europa, ingegnere e regista si direbbe a tempo perso, nel 2005 racconta in Paradise Now le ultime 24 ore della vita di un ragazzo che sceglie di essere kamikaze. Una scelta ovviamente terribile, inaccettabile, dettata dall'impossibilità di ottenere una rivalsa in questa vita, ma con la speranza di ottenere una vittoria nei cieli. Una scelta che, come appare chiaro dal film, non è divina, ma terrena, fatta da organizzazioni criminali che mandano al macello la meglio gioventù per continuare a prosperare e nutrirsi politicamente nel e del conflitto contro Israele. 
Ciò che più colpisce è che per i giovani protagonisti, Said e Khaled l'unica cosa che importa parrebbe essere scelti, l'unica via di scampo è il sacrificio. Nascono in un conflitto di cui non hanno visto l'inizio e, come ben sanno, non vedranno mai la fine, per loro non esiste la parola libertà, l'opportunità o la speranza di poter scegliere, ecco perché l'unica cosa che alla fine conti davvero è essere scelti. Il film è un thriller girato realisticamente e realmente, tra mille difficoltà, nei territori occupati. Il regista non esprime un giudizio politico, ma semplicemente cerca di raccontare una storia nella quale il lieto fine non esiste.

In Omar, del 2013, il registro cambia di pochissimo, ma la storia sì è diversa: un devastante melodramma nel cuore dell'occupazione israeliana in Palestina, con il muro che divide  a macchia di leopardo la città, principale protagonista del film. Senza via d'uscita dai territori occupati, Omar cerca di vivere con dignità una vita normale tra amicizie, un lavoro, l'impegno nella militanza politica e soprattutto l'amore. Ma nella Palestina di oggi non c'è spazio per niente di tutto questo. Si troverà così costretto dagli eventi a estenuanti rincorse e fughe, come il topo con il gatto, cercando in tutto questo di mantenere vivo il sogno di un amore a lieto fine. In questo caso niente deliri pseudoideologici, sullo sfondo del conflitto la vita anormale di un ragazzo qualunque, braccato, in trappola, e vittima suo malgrado degli eventi. Potrebbe anche essere un film brillante se di nuovo non fosse così tremendamente realistico e amaro.

Comunque la pensiate due film che vale la pena vedere per capirne di più.

4 commenti:

  1. Bella pagina, triste storia

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  2. Quale? La Palestina o Noyz Narcos?

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    1. che poi a Noyz Narcos l'hanno già liberato...

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  3. La Festa della musica spacca, ghe n'è mia de banane!

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