di The Driller Killer
Due storie dal midwest, due storie diverse che provengono dallo stesso scenario, uno scenario degno dell'inferno. Che sia il cuore dell'America?
Fuori dalla fornace che in italiano diventa il Fuoco dalla Vendetta sembra essere un eufemismo o una presa in giro, in questo film del 2013 diretto da Scott Cooper. Fuori dalla fornace dove si lavora a contatto con temperature altissime per ore, con scarse protezioni e un destino segnato dalle malattie respiratorie, la vita è ancora peggio. Tra veri "cattivi", bische clandestine, fight club all'ultimo sangue, corse di cani e cavalli non sembra esserci scelta o via di scampo dentro è un inferno dantesco, fuori è anche peggio.
La splendida Release Me dei Pearl Jam ne suggella l'inizio e la fine.
La tormentata
vicenda nerissima dei fratelli Russell e Rodney riassume gli stereotipi della
profonda provincia americana in una storia amarissima e in
discesa continua e inarrestabile tanto da sembrare a tratti grottesca, addirittura ridicola.
Il fulcro è la vendetta: Russell è come uno di quei pugili sfigati di cui la storia è piena, bravissimo a incassare e incassare; non si stanca mai, si piega ma non si spezza finché come nelle migliori tradizioni decide di alzare la testa, per una volta e ribellarsi al suo destino di buono e perdente. La storia in realtà è troppo simbolica e esemplare per essere interessante, la storia non è la forza di questo film, bensì
l'interpretazione magistrale dell'accoppiata Bale/Harrelson (il buono e il cattivo che nella fattispecie fa anche da brutto) per cui vale
eccome la visione del film. Il primo riflessivo, silenzioso e in balia degli eventi, in un escalation di sfiga impressionante, il secondo piu natural born killer che mai, vegetariano convinto, tossico.
Il resto è all'apparenza secondario compresa una regia didascalica corredata di citazioni a tratti fastidiose come quella del cacciatore di Cimino e la caccia al cervo.
Fuori dai cliché del ghetto un'altra America ridotta male, malissimo. Non c'è pietà
nello sguardo della regista, Debra Granik, in questo caso si bravissima, ma solo commiserazione per un destino,
quello di Ree, la diciassettenne protagonista interpretata da una fenomenale Jennifer Lawrence, qui agli esordi, segnato dall'ambiente in cui vive. Il film in questo caso risale al 2010 e si chiama Winter's Bone, seguito di Down To The Bone, primo cortometraggio della regista in questione e misteriosamente tradotto dalla distribuzione italiana in Un Gelido Inverno, si...ma in un altro caldo inferno.
Fuori dalla scuola,
fuori dalla società e fuori dalla sua gioventù. Circondata da miserie,
trafficanti di anfetamine e fotografie di giovani morti in guerre
lontane che parlano di altre miserie. Certi ceffi, uomini e soprattutto donne, che
ricordano Lynch e un incedere lento, quasi esausto, accompagnano
inesorabile il girotondo della protagonista che ritorna sempre al punto
di partenza. Le sue uniche certezze sono i legami famigliari, di una famiglia eufemistica, ridotta a pezzi, sul lastrico, alla fine dei suoi giorni. In un mondo in cui vieni al mondo solo per essere preso a calci e pugni Ree cerca di salvare il salvabile ma si ritroverà a segare le mani a un cadavere in mezzo a un pantano.
Le colonne sonore di questi due scorci di America profondamente nera sono centellinate ma azzeccatissime e in un certo senso parallele pur vivendo di vita propria. Entrambe cercano di descrivere due storie diverse che provengono dalle stesse paludi. Entrambe portano la firma di Dickon Hinchliffe: il fondatore dei Tindersticks che da sempre si dedica alla composizione. Da una parte la già citata chicca dei paladini del grunge di Seattle, che ben accompagna con un tocco di romanticismo e ineluttabilità il destino dei due fratelli, non è che una cornice di una soundtrack, in realtà affidata al violinista britannico, che si diverte ad alternare acidità blues con momenti di attesa, di sospensione. Un violino, una chitarra elettrica e un tocco folk dato dal banjo. Dall'altra, in quella che sicuramente risulta la migliore tra le due, non a caso ha portato una nomination all'oscar per l'autore o meglio l'assemblatore, il country. Anche in presa diretta, cantato e suonato da questi buoni a nulla attaccati come le zecche alle loro radici, resistenti appunto, inossidabili e perdenti come solo il male sa esserlo. Gli affanni di una sempre più rassegnata e maltrattata, ma mai arresa, Ree, vengono accompagnati dal country/folk di Missouri Waltz, l'inno del Missouri, nello spirito di Saint Louis, al bluegrass di High On A Mountain. Hinchliffe mette in fila una serie niente male di classiconi, che nel tempo sono stati rivisitati da tutti e dico tutti, toccando le corde giusto e sprofondandoci ancora di più nella realtà del midwest e di un'America che non ci è dato conoscere nei telegiornali della nostra provincia italiana.
Standing ovation e ringraziamenti anche da parte dei fratelli Coen.
Standing ovation e ringraziamenti anche da parte dei fratelli Coen.
Che poi mi sono sempre chiesto come mai gli ameriggani praticamente chiamano Midwest il loro Nord Est...
RispondiEliminaE' per confondere le idee al nemico.
RispondiEliminaMaronn' i Tindersticks, li ho persi di vista da parecchio tempo...che fine hanno fatto?
RispondiEliminaAlbum
RispondiElimina1993 - Tindersticks (This Way Up) — UK numero 56
1995 - Tindersticks II (This Way Up) — UK numero 13
1997 - Curtains (This Way Up) — UK numero 37
1999 - Simple Pleasure (Island Records) — UK numero 36
2001 - Can Our Love... (Beggars Banquet) — UK numero 47
2003 - Waiting for the Moon (Beggars Banquet) — UK numero 76
2008 - The Hungry Saw (Beggars Banquet/Constellation Records) UK numero 81
2010 - Falling Down a Mountain (4AD/Constellation Records) — UK numero 90
2012 - The Something Rain (Lucky Dog/City Slang/Constellation)
2013 - Across Six Leap Years (Lucky Dog/City Slang/Constellation)
non c'è torto o ragione
RispondiEliminaè il naturale processo di seimanizzazioneeeeeee