Scent of Dialysis: Il ritorno dei Gerontofag

di Jebediah Wilson Morales

Sembra incredibile, ma i Gerontofag sono vivi e non vegetano come invece sostenevano, da tempo, le solite malelingue salmistrate alimentate artificialmente dai peggiori pettegolezzi dei cloni di George Cloney, il critico più ignobile dell'East Slide. (se capite cosa intendo... vi pago un pirlo). I Gerontofag sono vivi e - soprattutto - sono tornati. Li avevamo persi di vista dopo "PROCKSTATITIS" (provacatorio esordio anti-antidiuretico, datato 1925) subito superato dal loro indimenticabile "Calculing at Reno" (1926), concept autobiografico sul dolore lombare che li aveva portati ai vertici della Pissing - Country Hall of Fame nel 1927, sull'onda di ricercatissimi assoli di Maracas ottenuti da ghiandole pineali essiccate (per decenni, il marchio di fabbrica della band). 

Grandi successi, tanto clamore e poi, tutto d'un tratto, un lungo silenzio. Svaniti nel nulla? Persi al supermercato? Smarriti al parco? Rapiti dalle Farc? Niente di tutto questo. Dal '32 fino all'altro ieri si erano semplicemente irretiti per le invettive di una critica fin troppo miope e frettolosa che ha stroncato l'astigmatico album "I see nothing and I can't find the exit" definendolo "nebuloso come un bicchiere di Uzo".

Troppe polemiche: ora sulla mancanza di note tra le parole delle canzoni (queste riferite soprattutto a "Is there anybody in my mind?"), ora sull'abuso di note che nulla avevano a che vedere fra loro (si ascoltino "Vacancy" e "Blue Lacuna" su tutte). Decenni di silenzio scambiati per stati vegetativi irreversibili quando si trattava solamente di naturale iracondia e disprezzo nei confronti del genere umano nel suo complesso. E' bastata una purghetta al mentolo del 2013 per girare pagina. Oggi, i quattro irriverenti "giovanotti" di Speloonkaville sono tornati, come il vino stantio della vedemmia di tre anni fa che il cantiniere manigoldo non riesce a sbolognare: è bastato cambiare etichetta (passando dalla "Low Pression Pill" alla "Carìatid Record") ed eccoli qui, ri-tirati a lucido come il peggiore dei Barbera.  

Mikka Kakku (Voce e Cateteri), Marry Cherry Slut (Basso e Bombola O2), Rabiousus Slim (Chitarra e PerettaPolpetta), Django Mambo Chang (batteria e loculele) tornano alla ribalta con l'essenziale e minimalista Scent of Dialysis. Un lavoro non scontato, pericolosamente in bilico tra questo mondo e l'altro, costellato di visioni iconoclastiche di realtà ultraterrone impreziosite dalla sagacia di suoni percussivi che rimandano a ritmi nevrastenici dei peggiori osteopati della fine del XIX secolo. Una ricerca stagionata e sragionata intorno al concetto di "drenaggio", segnata da ritmi fisiologicamente espulsivi, ma mai intrusivi. Kakku e soci danno così vita ad una specie di lunga e continua digestione di suoni baritonali scomposti e ricomposti nel corso di interminabili sessioni segnate da una ponderata espulsione di pappette contry e da commistioni elettroswing al passato di verdura. 

Un must per chi ama amare i veri vecchi suoni dei veri vecchi di una volta, quelli che scricchiolano facilmente come cardini arrugginiti al vento. Da non perdere, infine, il "Day Hospital Tour 2015" che li vedrà protagonisti almeno una volta, ogni giorno, nei migliori reparti di nefrologia di tutto il mondo. Posti letto limitati in caso di lunghe degenze o comi irreversibili. 


Alla faccia vostra, cloni di Cloney!

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