Arriviamo a Nashville nell'unico modo in cui è possibile arrivarci in auto. E cioè attraversare per ore un'infinita spopolata campagna, in cui ogni tanto isolate fattorie, fatiscenti distributori di benzina, minuscoli centri abitati raccolti attorno ad una drogheria, tentano invano di spezzare l'implacabile monotonia del paesaggio.
Ed ecco che a un certo punto, all'improvviso, in mezzo al nulla, ti appare il Nashville Skyline. NashVegas, come la chiamano da queste parti, se ne sta lì adagiata sul fiume, mostrando orgogliosa le sue "corna" al cielo del Tennessee.
Un'apparizione, appunto...
Quando infine raggiungi un luogo che è anche mito, sostanzialmente non ti interessa il luogo. Ti interessa il mito. E mentre ti avvicini a Nashville ti chiedi quanto della sua rozza leggenda sia rimasta ancora integra e quanto invece non sia andato perso col tempo...peggio ancora, ti assale anche il dubbio che la suddetta leggenda possa rivelarsi solo un'esagerazione tipicamente yankee della realtà.
A Nashville, d'estate, non sembra ci sia molto da fare di giorno. L'umidità ed il caldo opprimente rendono un Margarita e l'ozio ai bordi di una piscina di qualche motel l'unica possibilità razionalmente plausibile nelle ore di luce.
A smuoverci dall'indolenza è infine l'irrinunciabile tappa al Country Music Hall Of Fame and Museum, la cui bellissima struttura toglie fin dal primo istante il dubbio che qui quando si parla di country, non si stia parlando di una cosa maledettamente seria. E seria in quanto Arte. M'innamoro di una giacca di Hank Williams. Giriamo un po' lì dentro e alla fine usciamo.
A smuoverci dall'indolenza è infine l'irrinunciabile tappa al Country Music Hall Of Fame and Museum, la cui bellissima struttura toglie fin dal primo istante il dubbio che qui quando si parla di country, non si stia parlando di una cosa maledettamente seria. E seria in quanto Arte. M'innamoro di una giacca di Hank Williams. Giriamo un po' lì dentro e alla fine usciamo.
Passeggiamo per le vie del centro. Pressoché vuoto, fermo e silenzioso nella luce di metà pomeriggio. Nashville ci rivela così un primo pezzo di ciò che effettivamente ancora è: una rozza città indolente e un po' selvaggia, che si contempla immobile sulle rive di un fiume.
Scende il crepuscolo e tutto d'un tratto qualcosa cambia.
Arrivano pick-up, da cui scendono ragazzotti con T-Shirts senza maniche, jeans, stivali camperos e cappelli da cow-boy. Arrivano anche ragazzine...alcune vestite alla moda, altre a quella moda che fu solo di Daisy Duke della serie Hazzard.
Si accendono i neon, ma una strana elettricità sembra accendere qualcosa anche nell'aria. I gruppi che avevano cominciato a darci dentro già alle quattro e mezza del pomeriggio cominciano a pestare più duro. Lungo la Broadway (sic!) honky konk music, rockabilly, blue-grass, country cercano di sopraffarsi a vicenda giungendo dalle porte aperte dei numerosi honky-tonk bars.
Welcome to NashVegas!
Nella Broadway ripensi a quell'immensa spopolata campagna, a quelle isolate fattorie, ai distributori di benzina fatiscenti ed a quei minuscoli centri abitati raccolti attorno ad una drogheria...E lì è come se sotto il grande grattacielo cornuto avvenisse perciò una specie di rituale collettivo.Una grande chiamata a raccolta che attraversa la pianura coltivata. La Broadway è il punto in cui tutto trova il suo apice ed il suo senso, in un folcloristico iperbolico crescendo davvero difficile da spiegare.
Il Tootsie's Orchid Lounge, fondato nel 1960 da Tootsie Bess, è uno degli honky tonk bar più vecchi ed apprezzati della Broadway.
Esisteva già quando Bob Dylan, nel 1969, stanco e stressato dal dover incarnare sempre e per forza la parte del cantautore di protesta simbolo di una generazione, proprio a Nashville venne a registrare Nashville Skyline, magnifico album di fuga e di bellissime ballate country, che forse solo qui poteva essere registrato in presa diretta con un suono tanto intenso ed avvolgente. Nello studio a fianco registrava Johnny Cash. I due si ritrovarono a duettare insieme in diversi pezzi, ma solo uno di questi, Girl from the North Country, finì effettivamente nel disco.
Il Tootsie's Orchid Lounge è un buco, ma si compone di due ambienti pensati per fare in modo che due band possano esibirsi su due minuscoli palchi distinti contemporaneamente.
Beviamo birre, mentre il gruppo che sta suonando dalla nostra parte ci sta dando dentro grondando note sudate di vecchi classici roots e hill-billy...il pubblico è su di giri e proprio nel bel mezzo di un solo del chitarrista, il front man impugna il bidone delle mance e si fa largo tra la folla. Arriva col microfono fin nell'altra stanza e va a provocare il cantante dell'altro gruppo intimando il pubblico di là a seguirlo di qua. E' una scena arrogante, truzza, cafona, ma in quell'attimo diventa la rivelazione in terra del sacro dio del rock. Il nostro front man torna indietro tra fischi d'approvazione e boati del pubblico che fa volare cappelli cowboy e pezzi da un dollaro nel bidone che reca in pugno.
Sale sul palco e urla nel microfono l'ultima strofa di una grandissima This little light of mine.
Io mi gusto la scena ed intanto immagino gli sfavillanti cimeli di Hank Williams che brillano al buio come stelle nel firmamento dentro il Country Music Hall Of Fame and Museum.
Il Re è morto. Evviva il Re.
Viva NashVegas!
Il pezzo strumentale di Bob Dylan: Nashville Skyline Rag, seconda traccia dell'album Nashville Skyline non è disponibile in rete nella sua versione originale per motivi di copyright. Proponiamo qui la versione di J.D. Crowe.
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