Musicanidi di Maurisio Seimani: Beck, Pontiak, Damien Jurado

di Maurisio Seimani

Beck - Morning Phase

Ci sarà molto di personale in questa recensione. Poco tempo fa, ma comunque alcune settimane prima che cominciasse a circolare in rete la notizia di un nuovo album di Beck, per pura coincidenza mi ritrovai a riascoltare frequentemente i suoi vecchi dischi ed in particolar modo Sea Change. In verità era da parecchio tempo che non ascoltavo nulla di Beck, ma appunto proprio di recente mi ritrovai a realizzare che erano ben sei anni che non pubblicava alcunchè e che, fondamentalmente, il vecchio Hansen mi mancava. Fu quindi con divertito entusiasmo che accolsi la notizia di una sua nuova fatica ispirata proprio a Sea Change...un po' come il messaggio che ti arriva da un cugino lontano proprio mentre stai pensando a lui. Morning Phase dunque. Una breve intro strumentale e Morning, splendida ballata che di Sea Change sembra quasi una vera e propria outtake, ci trasporta immediatamente indietro di dodici anni, spianando però ogni melensa nostalgia grazie alla semplice ineccepibile bellezza delle sue linee melodiche. Per l'occasione Beck arruola esattamente gli stessi musicisti d'allora, che, sulla stessa linea, trascinano le seguenti Heart is a drum ,Say Goodbye, Blue Moon, e così a seguire tutte le altre, fino alla fine dell'opera. Le differenze con il suo ideale predecessore dunque sono davvero da cercarsi con il lanternino. Gli arrangiamenti d'archi di  The Wave? Un'idea che già in Sea Change ritrovavamo in Round the bend. Un certo piglio country un po' più marcato nelle tracce finali del disco? Può essere. Ma non è in queste considerazioni che troveremo il punto di forza di Morning Phase. La vera buona novella è che, come Sea Change, anche questo disco si compone di semplicissime canzoni che si potrebbero cantare la sera attorno ad un falò. I trucchi ci sono, ma è il nudo e crudo formato sea-song a farla da padrone. La buona novella è dunque che si è ancora di fronte ad un artista capace di scrivere belle canzoni che per stare in piedi non hanno bisogno di alcun effetto speciale. Considerato che Beck, ove volesse, di effetti speciali ne saprebbe tirare fuori a mille, in sostanza questa buona novella è che il signor Hansen è semplicemente di nuovo fra noi.
In due parole: Sea Phase
Giudizio: 3 palle e mezza e ancora pochi ascolti (che possano salire?)



Pontiak - Innocence

Anche parlando dei Pontiak mi riesce piuttosto difficile mantenere un giudizio obbiettivo. Ormai da alcuni anni questi ragazzi sono uno dei miei gruppi preferiti tra quelli attualmente in circolazione (potete leggere qui la ns. recensione del loro precedente disco Echo Ono). Eppure, a dirla tutta, non c'è un loro album che mi piaccia veramente tantissimo dall'inizio alla fine, ma per due fondamentali ragioni non posso fare a meno che adorarli. Anzitutto il fatto che sono tra i pochi gruppi ancora in grado di scrivere canzoni heavy-rock capaci di stendere al suolo un bisonte (ed il sottoscritto). In ogni loro album trovo sempre alcuni pezzi capaci di emozionarmi come all'epoca della mia adolescenza riuscirono a fare solo capolavori come Do the evolution, Territorial Pissing, Killing in the name o, più recentemente A song for the death dei Queens of the Stone Age. Qui è il caso di Ghosts o Beings of the rarests per esempio, canzoni che sono una scarica d'adrenalina pura dall'inizio alla fine. La seconda ragione è che fra tanti gruppi che oggi si rifanno a certe sonorità psichedeliche dei 60s e 70s, nei loro riff e nelle loro costruzioni sonore si continua a sentire qualcosa di assolutamente originale, e cioè una sorta di nervosismo allucinato che persiste come una corda tesa sotto tutte le loro canzoni e che contribuisce a plasmare un sound "diversamente tradizionalista" che si può trovare solo nei loro album. Ebbene, per quanto Innocence sia il loro album più rilassato, caratterizzato com'è da sporadiche stilettate elettriche abbandonate in mezzo a un mare di grezze ballate che non ammettono una sola caduta di tono, mantiene tutte le caratteristiche che hanno contribuito a farmi innamorare di questa incredibile compagine e che ho appena esposto sopra. Come al solito dunque non scriverei di questo disco che è un capolavoro. E' questa band che è un capolavoro, è la loro parabola artistica considerata nel suo insieme che è un capolavoro, una parabola in fase ascedente che ancora non mostra alcuna flessione verso le sfere dei comuni mortali. Evviva l'innocenza, allora, evviva!
In due parole: old innocence
Giudizio: 3 palle e mezza.


Damien Jurado - Brothers and sisters of the eternal son

"Il sogno di un uomo che decide di scomparire e poi trova di nuovo se stesso". E' questo il viaggio che racconta nel suo nuovo disco Damien Jurado, continuando così il percorso tracciato recentemente dal fortunato Maraqopa. Disco lungo e complesso Brothers and sister of the eternal son propone ancora un cantautorato raffinato e contaminato che trova il suo maggior pregio nella sua capacità di sfuggire alla trappola d'apparire troppo costruito e frutto di puro mestiere. Compito non facile per una vena artistica che paradossalmente riesce ad apparire comunque molto classica a minimalista, seppur appunto attraversata da ricercatezze tutt'altro che scontate. Non basterebbero altrimenti l'intelligente uso del falsetto, l'eleganza ora mistica ora epica delle sue composizioni, l'ondeggiare delle sue parti ritmiche a salvare quest'opera dai difetti sopra esposti. E' questione di dettagli qui. Niente è più necessario del superfluo, scrisse un tempo Oscar Wilde. Soprattutto quando il superfluo è messo al servizio di quacosa che chiamiamo sensazioni. Ecco: questo disco trasmette sensazioni. Non è cosa da poco.
In una parola: sensazioni
Giudizio: 3 palle e mezza.

13 commenti:

  1. Seimani, le tue stronzate dei pissing e delle telefonate dei cugini lontani vai a raccontarle all'ora di pranzo ai cammionisti della trattoria il mulino di mairano. Vediamo se ne esci vivo.

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  2. ma che canzone e' quela del minuto 3:05...qualcuno me lo puo'd dire eeeee per favoreeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!

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    1. Buddha TAR (del Lazio)28 febbraio 2014 alle ore 14:54

      Boh, non ricorda un po' Vanishing Nostril dei Kozziebox? A proposito, voi sapete che significa il testo di quella canzone?...ho scoperto che Vanishing Nostril in inglese significa letteralemten "Fuga Narice" ma con quell'effetto fuzz-flanger sulle parti vocali del testonon si capisce un cazzo.

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  3. Grandi che vi siete ricordati dei Country of Manigoldash, assieme ai Cinzie ed agli Zep-Polda il miglior esempio d'avanguardia slut-prat dei nostri giorni. Sono anni che la label Quangjinta Ntanamo di Baton Rouge sforna capolavori che i più ignorano senza motivi validi. Continuate così.

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  4. Seimani why don't you kill you?

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  5. unico appunto: perche' il disco dei Manygoldash solo in spalla? non e' che avete paura di sorprendere troppo i vostri lettori? invece no, rischiate...il disco merita ed e' qualcosa di molto diverso dal solito.
    Io per esempio questo mese avrei anche recensito Il nuovo dei Baked Dough lo so che non vi piace il funky ma questo e' postfunk!!! assai rivlouzionario.

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  6. OSCARS:Guardate che siamo nel 2014!!!

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    1. Appunto...si voleva solo ricordare le canzoni vincitrici dell'Oscar di 10 anni fa (merdata legata al sior dei agnei), 20 anni fa (signora canzone per signor cantante) e 30 anni fa (giorgione moroder over the top)...quelle di 40/50/60 anni sono sconosciute (a me in particolare)...

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    2. Una curiosità: nel 2004, l'anno in cui vinse Springsteen, l'altra canzone che si dava per favorita a vincere l'oscar era Philadelphia dell'amico Neil Young, anch'essa contenuta nello stesso film.In entrambi i casi le canzoni nel film vengono fatte ascoltare dall'inizio alla fine: sui titoli di testa quella di Springsteen, nella scena dei parenti raccolti nella camera ardente del protagonista, quella di Young.

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