Bad as me
Vi piacciono? Non vi piacciono? Poco
importa, tanto la sostanza non cambia: canzoni costruite in quel
modo, cantate in quel modo, e suonate in quel modo, le sa fare
veramente soltanto lui.
Tom Waits, classe 1949, una carriera
semplicemente straordinaria, un personaggio unico e probabilmente
irripetibile nel panorama della musica cantautoriale mondiale, enorme
performer dal vivo, giunto ormai al suo 22 album, è qui ancora una
volta per ricordarcelo. “Bad as me” è semplicemente la
quintessenza del suo stile, un classicissimo album alla Tom Waits,
che si divide tra pezzi sostenuti, dove l’ usuale ritmica sghemba
sostiene fiati taglienti e ululati sguaiati (Chicago, Get Lost, Bad
as me) e alcoliche ballate che si (ci) trascinano alla deriva come
solo certi bei bicchieri di buon whiskey invecchiato sanno fare
(Talking at the same time, Face on the highway…). Null’altro in particolare da
sottolineare su quest’ opera, dunque. Semplicemente, un’ altro bell’
album di Tom Waits: più in forma che mai, più pazzo che mai, più
cattivo che mai. Il Dio della Musica ci preservi queste
bestie rare in via d’ estinzione.
In una parola: unico.
Giudizio: 4 palle.
Dead Skeletons
Dead Magik
Giuro: in questo caso non so davvero da
che parte cominciare. Intanto posso solo invitarvi a cliccare il
video riportato qui sopra e farvi travolgere dalla folle proposta di
questo misterioso trio islandese, spuntato fuori all’ improvviso da
chissà dove, e diventato immediatamente oggetto di culto negli
ambienti più alternativi ed underground d’oltremanica. Dead Magik è un album indescrivibile.
Impossibile renderne il senso senza ricorrere a metafore che possano
in qualche modo spiegarne il bizzarro contenuto musicale.
Immaginatevi dunque un fiume in piena che si porta appresso, in un
unico caos roboante, cocci e carcasse della psichedelica dei primi
Grateful Dead, il noise dei Velvet Underground, dei Jesus and Mary
Chain e dei Sonic Youth, viaggi sonori alla Chemical Brothers e
spiritualità eterea alla Sigur Ros (portata però dal paradiso all’
inferno)…il tutto incanalato in martellanti ritmiche tribali e
scandito da esoterici mantra vocali che ossessivamente ripetono
messaggi codificati ed apocalittici, ora in lingua inglese ora in
islandese (“Chi teme la morte non apprezza la vita” si ripete per
esempio ossessivamente in Dead Mantra, il brano qui riportato).
Sicuramente, insomma, una delle proposte più originali degli ultimi anni ed uno degli esordi più originali che mi sia dato ricordare, che trova forse il suo limite in un’ eccessiva prolissità, che rende il suo ascolto dall’ inizio alla fine veramente (volutamente?) un po’ ossessionante. Ad ogni modo, un esperienza a tratti stupefacente.
In una parola: esoterico.Sicuramente, insomma, una delle proposte più originali degli ultimi anni ed uno degli esordi più originali che mi sia dato ricordare, che trova forse il suo limite in un’ eccessiva prolissità, che rende il suo ascolto dall’ inizio alla fine veramente (volutamente?) un po’ ossessionante. Ad ogni modo, un esperienza a tratti stupefacente.
Giudizio: 3 palle e mezza.
Dente – Io tra di noi
Bugo –
Nuovi rimedi per la miopia
Ci piace inserire nella nostra rubrica
artisti italiani, quando c’è un buon pretesto per parlarne.
E senz’altro le due nuove uscite dei
cantautori Bugo e Dente lo sono. Il primo (foto a lato) è ormai considerato un
riferimento “storico” del cantautorato indie del nostro paese; il
secondo, portato in palmo di mano da tutta la critica specializzata,
ne è sicuramente il maggior riferimento attuale. Detto questo, a me sembra che anche
questi due dischi pecchino dello stesso difetto comune a quasi tutte
le opere cantautoriali uscite negli ultimi anni in Italia: quello
cioè di tendere irrimediabilmente al discreto. E così, ancora una
volta, ci si trova di fronte a due lavori che, pur evidenziando
l’innegabile talento di entrambi gli artisti, e pur facendosi
piacevolmente ascoltare, a conti fatti non convincono fino in fondo.
A conti fatti si finisce sempre per innamorarsi di qualche canzone,
per apprezzarne qualche spunto, si finisce anche per provare una
certa simpatia per gli autori, ma…sostanzialmente l’ ascolto
complessivo dell’ opera non lascia né particolarmente colpiti, né
particolarmente soddisfatti.
Insomma, se mi si permette l’esempio:
se Dente (col nas da paiaso, nella foto a lato, ndC) è oggi considerato l’ esponente più completo del nostro
cantautorato nazionale, allora arrivo a dire che se emergesse di
questi tempi un Fabio Concato verrebbe probabilmente considerato un
genio.
E non che Fabio Concato fosse il peggio
del peggio, per carità, però (se si pensa a una tradizione che in
passato ha prodotto artisti del calibro di De Andrè, Battiato,
Conte, De Gregori, per citarne alcuni) è tutto dire.
In una parola: discreti.
Giudizio: 2 palle e mezza.
Grandi Dead Skeletons!!!!!!
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