Musicanidi di Maurisio Seimani: P.J.Harvey, Telekinesis, Radiohead


P.J. Harvey – Let England Shake


 a cura di Maurisio Seimani

Sarò onesto, era un po’ di tempo che non riascoltavo qualcosa di PJ Harvey. Perciò mi ha fatto davvero un grande piacere ritrovarla ancora così ispirata, dopo vent’anni di attività, perchè questo “Let England Shake” è davvero un gran disco, dal quale emergono sonorità che non è azzardato definire toccanti, nella loro bellezza. Dall’ interno di una chiesa del XIX secolo (dove i pezzi sono stati registrati), Polly Jean ci consegna una manciata di canzoni dall’ incredibile impatto emotivo ed estetico. Riguardo al genere, invece, che scrivere...New folk? Cantautorato d’ avanguardia? Mah, in fondo, in certi casi, che senso ha cercare inutili parole? E’ bellezza questa, bellezza allo stato puro. Alla faccia delle Noemi e delle stracazzo di Ruby Rubacuori, questa è autentica bellezza. PJ Harvey, dopo vent’anni di carriera, è semplicemente bellissima.
In una parola: bellissima
Giudizio 4 palle e mezza



Telekinesis – 12 desperate straight lines

Per ovvie ragioni, scrivere questa rubrica non è sempre uguale. Certe volte si fa quasi fatica ad arrivare a segnalare tre dischi davvero degni di nota, mentre in altre occasioni le uscite interessanti sono parecchie e limitarsi a tre recensioni risulta piuttosto difficile. E’ il caso di questo febbraio appena trascorso nel quale, insieme al ritorno di Radiohead e PJ Harvey, di dischi di un certo interesse ne sono usciti parecchi. Eppure, dovendo ora scegliere l’ opera che più di altre si è rivelata accattivante, mentre girava sulla puntina della mia autoradio, non posso fare altro che concludere che sia stata senz’ altro l’ album di questi Telekinesis.
“La perfezione in meno di quaranta minuti” ha scritto Gabrile Pescatore sulle pagine del Mucchio Selvaggio, recensendo questo “12 desperate straight lines” ed è difficile non trovarsi d’ accordo con queste parole.
I Telekinesis sono un gruppo di Seattle, ma nella loro musica non v’ è alcun richiamo alla stagione del grunge che negli anni 90 ha reso celebre la fredda città dello stato di Washington. Qui ci si muove lungo le strade dell’ indie pop più sciolto e radiofonico, genere nel quale i nostri si rivelano completamente a loro agio, tanto che il termine più giusto per definirli potrebbe essere: generatori di chicche. 12 canzoni, delle quali ben 9 non superano nemmeno i 3 minuti di durata. 12 canzoni all’ apparenza semplici, che attraverso una grande capacità di sintesi, uno scherzoso uso delle citazioni, e una creatività continuamente cangiante, approdano sempre immancabilmente a un impeccabile trascinante ritornello. Cosa chiedere di più a un disco pop?
In una parola: chicche.
Giudizio: 4 palle.
Radiohead - The King of the limbs

The King. Un tempo fu Elvis, poi arrivarono i Beatles ed i Rolling Stones, e poi, a seguire, fu il turno di Springsteen, degli U2, dei REM, fino a tempi più recenti e al povero Kut Cobain. Ogni epoca del rock ha avuto il suo re, un’ artista, o un gruppo, che più d’ogni altro, in un determinato periodo, è riuscito ad incarnare l’ essenza stessa di quello che in quegli anni significava fare rock, essere rock.
In questo senso, si può forse negare che questo particolare scettro, nell’ ultimo decennio, sia stato detenuto dai Radiohead? Io credo di no. Il volto disperato di Tom Yorke, le evoluzioni musicali che da un Pablo Honey hanno portato ad un In Rainbows, il loro particolare approccio con lo show business e lo star sistem, sono stati l’emblema stesso delle trasformazioni della musica dell’ultima decade. E così anche i Radiohead, oggi, come i tutti i Re citati sopra, possono vantare pure il loro esercito di denigratori, che oggi, di fronte a questo poco riuscito “The king of limbs”, può celebrare soddisfatto in rete (è successo anche qui su MDC) la loro attesissima caduta. Ecco, ho scritto tutto questo solo prendere le distanze da questa gente. Non ho problemi a definire l’ultima opera di Tom Yorke e soci poco interessante e, se inserita nella loro stupefacente discografia, addirittura inutile (molto belle però Little by little e Morning Mr. Magpie). Ma per il sottoscritto il precedente In Rainbows era ancora senza dubbio un disco bellissimo e per questo non può certo bastare un’ opera sotto tono per farmi pensare che i Radiohead non avranno più nulla da dire in futuro. Certo, “The King of limbs”, suona solo come un lungo bisbiglio che se ne sta lì intrappolato in una elegante parentesi. Ma chiusa la parentesi non vedo perchè non si debba mantenere viva la speranza che in futuro i nostri non sapranno stupirci ancora con nuovi arcobaleni.
E quindi ora, prese le distanze, in una parola posso dirlo: inutile.
Giudizio: 2 palle e mezza.

Altri musicanidi:

Cristina Donà (foto) – Torno a casa a piedi (http://www.youtube.com/watch?v=DpLatqSMxh4): questo disco è uscito appena pochi giorni dopo la pubblicazione dell’ ultimo musicanidi, ma lo recensisco ora, perchè non ce lo si deve fare scappare. Musica d’ autore italiana, classicissima per certi vesti, ma arrangiata con gusto e accompagnata da testi mai banali. Un bellissimo disco. 4 palle.

Toro Y Moi – Underneath the pine (http://www.youtube.com/watch?v=dNcYDwo9ksA): immaginate un approccio alla Beck (quando Beck decide di non prendersi troppo sul serio) che tende ad unire atmosfere musicali da film erotico anni 70 a cantati in stile Beach Boys e...tante, tante buone canzoni. Davvero divertente. 3 palle e mezzo, quasi 4.

Mauro Giovanardi – Ho sognato troppo l’altra notte? (http://www.youtube.com/watch?v=_xDqvGbx_z8): si veda quanto appena scritto sopra per il disco di Cristina Donà. L’ex La Crus confeziona un ottimo disco solista di ottima musica italiana vecchio stile. Se il Festival di San Remo avesse davvero un senso diremmo che avrebbe dovuto vincerlo. Invece grazie a Dio non può fregarcene di meno. 3 palle.

Saluti ai Musicanidi.
Arrivederci ad aprile.

Maurisio Seimani

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