Moviecanidi: The Revenant - Il Redivivo

di TheDrillerKiller

   Io non ho paura di morire, sono già morto. 
Hugh Glass 
Di Caprio, Iñarritu e Sakamoto! Tre nomi importanti, tre nomi altisonanti di sicuro richiamo, almeno per il sottoscritto. Sufficienti comunque per dirigersi di buon animo al cinema ad affrontare  le esagerate 2h 35' dell'ultima fatica del nuovo "cocco di mamma" di Hollywood già vincitore dell'Oscar nel 2015 con Birdman, del Golden Globe 2016 nonchè candidato ben 12 volte agli Oscar del prossimo 28 febbraio: il regista messicano Alejandro Gonzalez Iñarritu. 

Leonardo di Caprio mette in scena perlopiù il proprio corpo martoriato riproponendo a tratti l'eterno ruolo del Robinson Crusoe solo di fronte alla natura o dell'eroe greco che diventa mito. Una recitazione silenziosa fatta appunto di azioni, movimenti, sguardi, sussurri e sussulti. Una recitazione che si cala nel paesaggio meraviglioso e terribile nel quale Hugh Glass è costretto a muoversi faticosamente, al limite e inverosimilmente ben oltre le possibilità umane. Sempre a punto di congelarsi, fratturarsi il fratturabile, venire infilzato da una freccia indiana o colpito da una pallottola vagante ancorché morire annegato nelle gelide acque del fiume. Sospinto solamente dall'odio e dal desiderio di vendetta. Questo è il punto e il tema del personaggio mirabilmente recitato da Di Caprio: la vendetta, l'odio. L'odio: che permette al protagonista di acquisire una forza sovrumana, di non soccombere laddove pare evidente e logico chiunque soccomberebbe, di sorprendere lo spettatore che lo da per spacciato in più di un occasione credendolo morto appunto e scoprendolo invece redivivo. L'unico interessante quesito nella trama semplice, a tratti sempliciotta del film è proprio questo: Hugh Glass compie la propria vendetta da vivo o da morto? Viene così in mente un mirabile film di qualche anno fa, in bianco e nero, di Jim Jarmush dal titolo esplicito Dead Man, protagonista: Johnny Deep.



In quello però la firma del regista era evidente. Iñarritu invece sembra essersi trasfigurato. Forse non nei contenuti, visto che il tema della morte e dell'odio sono molto presenti nel suo cinema, ma nei modi. Paragonare l'esordio Amores Perros, in cui tre storie si intrecciano in una prosopopea di flash back e autoscontri, di luci e immagini vorticose con questo Revenant è impossibile. Il regista messicano si concentra qui sulla regia; a tratti risulta stucchevole nelle scene impressionanti e spettacolari dell'attacco degli indiani, l'assalto dell'orso e la fuga nella foresta di conifere (solo per citare tre esempi) con uno spiegamento di steadicam e telecamere a braccio, ovviamente digitali, a tratti cinefilo à la nouvelle vague quando l'alito degli infreddoliti protagonisti appannano la lente della macchina da presa, ma poi si fa perdonare mettendo in scena una natura incredibile a dir poco.


Gli scenari del Canada e del Dakota perlopiù innevati e del fiume Missouri sono meravigliosamente fotografati dal regista messicano, il suo protagonista e i comprimari (tra cui spicca un maiuscolo Tom Hardy, sicuramente da Oscar) vi si muovono piccoli e indifesi, sopravvivono alla furia di una natura selvaggia che ancora e per fortuna esiste e dentro la quale si consumano le miserie umane. Insomma verrebbe da pensare che Iñarritu abbia voluto mostrare i muscoli, certificando così definitivamente la propria fama di Regista ormai a pieno titolo entrato nel gotha di Hollywood. Cosa manca dunque per soddisfare lo scrivente? Beh! La sceneggiatura, la storia: decisamente banale, poco interessata all'approfondimento di tematiche come per esempio il ruolo dei nativi, il passato del protagonista, le figure dei comprimari, appena accennati. Eppure il tempo a disposizione è molto, ma evidentemente votato esclusivamente all'entertainment che poco a poco e inevitabilmente si affievolisce rovinando un po' il finale eccessivamente prolungato.

E Sakamoto?
Sakamoto, qui al rientro dopo la malattia, si presta, per così dire, al gioco e scrive una colonna sonora da videogioco, di sottofondo. Impeccabile ma poco incisiva e non certo memorabile. Insieme a Alva Noto cerca di musicare la natura nei momenti topici del film, dall'incontro col fiume a quello con i bufali. Dalla lotta con l'orso fino alle gelide marce sotto la neve, dei fiuggiaschi. Insomma il confronto con la colonna sonora morriconiana dell'ultimo atteso Tarantino sembra improponibile ma è anche vero che il compositore giapponese ama nascondersi e affiorare poco a poco. Così nel film non ci si accorge quasi delle musiche anche perché rapiti dalle immagini.

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