Reggae Best: The Paragons - On the beach (1967)

di Sir Old John Pajama

Che la musica in levare, se utilizzata in un certo modo, sia capace di richiamare alla nostra mente bianche spiagge tropicali baciate da calme acque cristalline, verdi palme ondeggianti cullate da brezze esotiche, sgargianti cocktails colorati sorseggiati al cospetto di maestosi tramonti rosso fuoco, è cosa abbastanza nota. Che la quintessenza di tutto questo si ritrovi nelle composizioni del disco  d'esordio di John Holt e dei suoi Paragons è invece semplicemente inconfutabile.

Non è un caso dunque che sia proprio al giungere del primo solleone che ci ritroviamo a consigliare nell'ambito di questa rubrica il mitico On the beach. Volete il disco reggae ideale per una lunga e spensierata calda estate? Eccolo. Quest'album dei Paragons, pubblicato dalla Treasure Isle del temibile produttore Duke Reid nel 1967, sta alla musica giamaicana come tutto quanto pubblicato dai Beach Boys fino al 1964 sta al rock californiano. Attraverso le sue 10 suadenti tracce rock-steady, che oggi mostrano un ovvio sapore fascinosamente vintage, l'album catapulta immediatamente l'ascoltatore in una realtà parallela "senza limiti e confini", pur pogginadosi su composizioni di irrefutabile semplicità (quasi tutte firmate dal già citato Holt). A fissare il mood dell'opera fin dalle sue prime battute è la titletrack, seguita a ruota dalla chitarra surf che fa da intro a Island in the sun. Con passo felpato ed elegante il disco propone poi inaspettatamente il brano soul When the lights are low, aggraziato come un grosso felino che si muova attraverso la giungla africana. Si sta ancora ondengiando lentamente al suo ritmo  esotico, quando di colpo si viene incalzati dalla celeberrima ed ipercoverizzata hit rock-steady un po' sgangherona The tide is high, impreziosita da un'inatteso violino che si muove fra le sue linee. La leggerezza la fa da padrona nella seguente So Much Pain, intrisa di spicciolo pacifismo terzomondista, mentre Only a smile è sostenuta da un efficace riff di fiati che la fa vivacemente sobbalzare. I want to go back ricrea invece perfettamente il clima di una pista da ballo di Kingston in quegli anni, mentre il gioiellino Yellow Bird conquista con discreti ricami jazzati che duettano con le voci nell'efficace ritornello. Ecco, le voci appunto. Le armonicizzazioni vocali dei Paragons, sempre splendidamente costruite, pongono infine la ciliegina sulla torta ad un opera nel suo genere totalizzante.

Si sono citati sopra, non a caso, i primi Beach Boys. Credo che nessun altro gruppo sia tanto equiparabile, nel piglio, ai Paragons. Parliamo cioè di quell'attitudine del tutto innata di rendere psichedelica una qualsiasi spiaggia del globo poggiandosi solo su quattro accordi. Sparateveli in cuffia, dunque, quando vi ritroverete sotto l'ombrellone nella vostra long hot summer e preparatevi a farvi portare via: dalle onde, dai gabbiani, dal sole, dalle ragazze che passeggiano in bikini e blablablabla...Enjoy!

8 commenti:

  1. Musica in levare? Semani, levati dai cojoni!

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  2. Io domani parto per Levanto, può interessare?

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  3. La versione dei Paragons di The tide is high è mille volte più bella di quella dei Blondie

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  4. John Holt era un grandissimo compositore pop, lo stile dei Paragons non è molto diverso da quello di tante altre band giamaicane del periodo rocksteady, a fare la differenza è la modernità delle canzoni, come dimostra cos'è ancora oggi una man next door pulita dal suo souno vintage dai Massive che avete giustamente proposto a lato.Oltre a questo on the beach è registrato da dio ed ha anche un sound che ti avvolge. D'accordo col paragone con i Beach Boys dei primi 60, ma allora sig. Pajama possiamo dire che Ken Boothe era il loro Beatles dei primi 60? Gli dedicherete un reggae best prima o poi?

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    1. Ken Boothe, "Mr. Rocksteady"! Ancora vivo il vecchio! L'ho ascoltato tantissimo e lo ascolto sempre volentierissimo, è un'altro caposaldo della musica giamaicana e sicuramente prima o poi avrà un suo spazio nelle nostre rubriche reggae. Detto questo...non so...non saprei se il paragone con i primi Beatles è calzante. Mi risulta che lui fosse soprattutto un interprete innanzitutto e poi non era un grande sperimentatore, anzi era molto tradizionalista. Forse se intendi proprio i primisssimissimi Beatles. Ma boh...no, direi che il suo ruolo fu diverso. La critica in verità l'ha sempre definito il "Wilson Pickett giamaicano" come già saprai...

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  5. ci sono anche degli ottimi dischi solisti di Holt.

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    1. Sì? Io non ho mai trovato cose stratosferiche...Police in helicopter non male però. La cosa assurda è che, anche se fu una mera operazione commerciale ed è un album di sole cover, uno di quelli che consiglierei ed ho ascoltato di più è 1000 volts of Holt...la cover di Never Never Never (che poi è Grande Grande Grande di Mina) mi fa sbumballah!

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